«Perché la terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti» (Levitico, 25:23). Non siamo che ospiti, tutti, su questa terra.

Moni Ovadia ama definirsi «saltimbanco agnostico» e citare con autoironia chi lo etichetta come «ebreo antisemita». In realtà, dai suoi spettacoli emerge un profondo affetto per il popolo ebraico, dall’humour yiddish al misticismo chassidico ed anche per quel “buon Dio”, raccontato dalle Scritture e dalla tradizione, che sa dialogare con l’uomo con immensa sensibilità. Un approccio che considera la religione quasi un male necessario, «come la feccia nel buon vino» e l’ateismo un passaggio fondamentale verso un’assunzione di responsabilità individuale, che possa rendere così più consapevole e maturo anche un eventuale ritorno alla fede. Ovadia sa cogliere nei testi sacri per gli ebrei la continuità con il cristianesimo e metterne in luce i concetti comuni, fondamentali e irrinunciabili: la giustizia sociale e l’apertura allo straniero, da vedere non più come nemico ma come ospite e fratello.

Nel recital “Il registro dei peccati” Ovadia è solo, in piedi al centro del palco; un paio di faretti, un leggìo con fogli e tablet e alle spalle una sedia sulla quale, durante lo spettacolo, non siede mai. Non c’è nient’altro: tutto si regge sul carisma della voce del protagonista. Nessun “effetto speciale”, niente proiezioni, video o musicisti: eppure il reading diventa una sorta di ipertesto multimediale. Con eloquio raffinato e punteggiato di bellissime parole desuete, Ovadia cita personaggi dai nomi impronunciabili e snocciola veri e propri link: suggerisce di andare a cercare in Sardegna l’artista che scolpisce arpe di pietra e su youtube la suora che costruisce la pace attraverso il canto e l’insegnamento della matematica. Talvolta Ovadia si lascia andare alla facile invettiva contro la televisione o i talent show e seppure alcuni aneddoti e barzellette siano già sentiti e risentiti, nel contesto del racconto acquistano nuovo senso e uno spessore quasi filosofico.

Si avverte l’assenza di un vero e proprio filo conduttore di uno spettacolo didascalicamente suddiviso in tre parti, dedicate alla narrazione, al canto e all’umorismo. Se la prima parte sembra avere la consistenza di una premessa, quella centrale raggiunge momenti di poesia e suggestione. Tutto “Il registro dei peccati”  – non soltanto il finale – è irrorato di ironica intelligenza: quell’umorismo che è nella saggezza dei rabbini e dei loro cocchieri, che è arma di supremazia pacifica e che è utopia di un progetto impossibile agli uomini. È Isacco: che nasce, anche etimologicamente, da una risata.

TitoloIl registro dei peccati
AutoreMoni Ovadia
InterpretiMoni Ovadia
Durata120'
ProduzionePromo Music
Genererecital-reading
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenadal 15 al 24 marzo 2016 al Teatro Vittoria - Piazza Santa Maria Liberatrice, 10 - Roma