“La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar…”. (Il Barbiere di Siviglia)

«Ha incendiato Roma; ucciso la madre, la moglie, il fratello; seduce ed è amico del popolo; è pericolosonerone-2 per il Senato!». Questa è la funebre litania che rieccheggia nelle orecchie di Lucio Domizio Enobarbo meglio conosciuto come Nerone, l’Imperatore passato alla storia come colui che si macchiò di terribili delitti e crudeltà, tanto da arrivare ad incendiare Roma per costruire la sua Domus Aurea. Accuse mosse e perpetuate perfino dai biografi Svetonio e Tacito. Ma se consideriamo che i due appartenevano alla stessa classe aristocratica così osteggiata da Nerone, qualche dubbio sorge spontaneo. Dubbi alimentati dal saggio di Massimo Fini “Nerone. Duemila anni di calunnie” oggi spettacolo teatrale curato da Edoardo Sylos Labini anche nei panni del discusso Imperatore.

Dalla bocca fuori uscendo lo schiamazzo va crescendo prende forza a poco a poco, vola già di loco in loco; sembra il tuono, la tempesta che nel sen della foresta va fischiando, brontolando e ti fa d’orror gelar”. L’aria di Basilio, tratta da “Il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, cantata durante un baccanale organizzato da Nerone e la sua corte, fa da controcanto alla ripetuta litania di cui sopra, quasi fossimo all’interno di un tribunale in cui difesa ed accusa mostrano prove, indizi ed esibizioni per convincere il pubblico delle proprie argomentazioni.

Da una parte (l’accusa) l’amico di bagordi Otone, governatore della Lusitania ed ex marito di Poppea che congiura per gelosia; il viscido Fenio Rufo, prefetto del Pretorio capo della rivolta di quella élite economica ed intellettuale contro cui Nerone combatté durante i 14 anni del suo regno; il filosofo Seneca, mentore dello stesso imperatore. Dall’altra Nerone, ossessionato dal fantasma della madre, coccolato dalla seconda moglie Poppea, circondato da una corte di artisti, poeti, saltimbanchi, mimi, ballerine e prostitute a sostenere la propria linea difensiva: “Alla fin trabocca e scoppia, si propaga, si raddoppia e produce un’esplosione come un colpo di cannone, un tremuoto, un temporale, un tumulto generale, che fa l’aria rimbombar. E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte ha crepar”.

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Edoardo Sylos Labini

Secondo il revisionismo storiografico, Nerone fu sì uomo spregiudicato, macchiandosi di delitti efferati ma non in misura maggiore di quanti lo precedettero o seguirono. Fu più una sorta di tiranno illuminato, preoccupato più di dare forma moderna all’amministrazione dell’Impero, a gestire le risorse dello Stato con lungimiranza, a comandare non ‘in nome del popolo’ ma ‘per il popolo’ piuttosto che espandere i confini dell’Impero impegnandosi in guerre di conquista. Per questi motivi era amato dalla plebe ed inviso all’aristocrazia.

Lo spettacolo, sin dal titolo, non fa mistero del proprio schieramento mettendo in scena, grazie anche ad una recitazione passionale, carnale, fortemente fisica dello stesso Labini, la figura di un uomo travolto dagli eventi, da una serie di circostante sfortunate, da una fronda interna scoperta sin troppo tardi che lo spinse all’età di 31 anni al suicidio.

Nerone. Duemila anni di calunnie” getta le radici nel passato ma rivolgendosi prepotentemente al presente, come uno specchio oscuro in cui la contemporaneità può riconoscersi specchiandosi in un passato apparentemente remoto ma inquietantemente attuale. Le luci di Pietro Sperduti, i costumi e scenografie di Maria Crisolini Malatesta, tanto accentuati quanto modernamente e volutamente stranianti, costruiscono un circo grand guignol che cattura visivamente e seduce linguisticamente, nella messa in scena di frammenti della vita di Nerone, condannato dalla macchina del fango della Storia, la cui vita secondo l’interpretazione che ne danno gli autori dello spettacolo lo stesso Labini e Alberto Crespi «diviene metafora sul potere che da sempre irretisce le menti migliori, fuorviando la ragione e i cuori».

Seducente, spiazzante, emozionante, coinvolgente.

TitoloNerone. Duemila anni di calunnie
AutoreEdoardo Sylos Labini dall'omonimo saggio di Massimo Fini
AdattamentoAngelo Crespi
RegiaEdoardo Sylos Labini
MusichePaul Vallery
SceneMaria Crisolini Malatesta
CostumiMaria Crisolini Malatesta
LuciPietro Sperduti
InterpretiEdoardo Sylos Labini, Fiorella Rubino, Sebastiano Tringali, Dajana Roncione, Giancarlo Condè, Gualtiero Scola, Paul Vallery; Attori Fonderia delle Arti
Durata120'
ProduzioneRG Produzioni
Anno2015
Generedrammatico
Applausi del pubblicoRipetuti
In scenafino al 31 gennaio al Teatro Quirino di Roma