A pensarci bene “La vita che ti diedi” scritto nel lontano 1923 da Luigi Pirandello e proposto dal Teatro Stabile di Bolzano, è un concentrato di simbologie. Per le forme asettiche e solari della scenografia, somiglia alle atmosfere pittoriche di Edward Hopper. Solitudini racchiuse tra le quattro mura di una stanza. Il sipario si apre sulla scena irradiata, i fasci di luce geometrica erompono su quattro donne inginocchiate, coperte da un velo nero e immerse in preghiera. La recita solenne del Requeim Aeternam è rivolta a Fulvio, figlio defunto di donna Anna Luna (Patrizia Milani). Le tavole del palco posizionate per dare il senso della prospettiva, terminano al vertice di una grande porta, come in un dipinto: sul palcoscenico gli oggetti e lo stesso pavimento sono inclinati, in bilico: tutto sembra “precipitare”. È questo l’intento a cui Marco Bernardi mira: dare l’impressione con l’assetto scenografico che oltre all’abbandono, filo conduttore della tragedia, alla vertigine, esista qualcosa di deviato in sospensione tra il reale e l’allucinazione.
“La vita che ti diedi” è principalmente la storia di un rifiuto, quello di una madre per la morte del figlio, ma è anche il vagheggiamento di una donna che riempie il vuoto del lutto con l’identificazione archetipica della madre-assoluta genitrice universale. Anna Luna si riappropria del ruolo materno quando immagina di sfidare la morte, imponendo agli altri l’idea che suo figlio farà ritorno. Crede che il pensiero rivolto a Fulvio lo riporti in vita, e viceversa, l’assenza del pensiero del figlio alla madre renderà quest’ultima cadavere. Per questo Don Giorgio (Carlo Simoni) e Donna Fiorina (Gianna Coletti) simboli della moralità comune la biasimano e lei sempre più in conflitto con la realtà esterna, cade nell’emarginazione.
Anna Luna è il suo nome: simbolo di tenebra e lontananza, è creatura fisica e metafisica. Con l’entrata in scena di Lucia (Irene Villa), giovane incinta del defunto, avviene uno stacco. Si accende per Anna Luna la soluzione, coinvolgendo la ragazza a credere che il figlio che aspetta recuperi la vita spenta di Fulvio. La morte unisce le figure femminili, le condanna ad una solitudine pietosa. L’emotività dei personaggi si sprigiona nella trama complessa, principalmente nei monologhi deliranti della protagonista. Non facile da seguire per via dell’intellettualismo contenuto, il rifacimento di Bernardi gode di una linearità composta. Gli interpreti non hanno sbavature, seguono la drammaturgia con grande rigore, la Milani, tesa nei movimenti quasi a contenere l’isteria, ricalca una madre soggiogata dal destino con coinvolgimento.
Di eccellente fattura “La vita che ti diedi” trova nella compagnia dello Stabile di Bolzano un’espressione solenne, profonda. Nel suo adattamento scenografico risiede un linguaggio ricercato, allegorico che rafforza la riflessione lucida sulla vita e la sua caducità.
Titolo | La vita che ti diedi |
Autore | Luigi Pirandello |
Regia | Marco Bernardi |
Scene | Gisbert Jaekel |
Costumi | Roberto Banci |
Suono | Franco Maurina |
Luci | Massimo Polo |
Interpreti | Patrizia Milani, Carlo Simoni, Gianna Coletti, Karoline Comarella, Paolo Grossi, Sandra Mangini, Giovanna Rossi, Irene Villa, Riccardo Zini |
Durata | 90' |
Produzione | Teatro Stabile di Bolzano |
Anno | 2014 |
Genere | Tragedia in tre atti |
Applausi del pubblico | Ripetuti |
Compagnia | Teatro Stabile di Bolzano |
In scena | Teatro Quirino dal 9 al 21 dicembre 2014 martedì/sabato h 20.45 domenica h 16.45 giovedì 11 e mercoledì 17 h 17, sabato 13 h 16.45 e h 20.45 |
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