Furia avicola

È tutto giocato sul surreale il nuovo testo di Rafael Spregelburd “Furia Avicola”, coprodotto dal CSS Stabile di Innovazione del FVG con Fattore K e diretto dal drammaturgo insieme a Manuela Cherubini. Un testo coadiuvato da una messinscena essenziale e da una compagnia di attori multilingua (emersa dal lavoro di Spregelburd e Cherubini all’École des Maîtres 2012), al di sopra della media.

Composto da due parti (“La fine dell’arte” e “Burocrazia”) più un intermezzo “Furia Avicola” mette in scena la vita reale, nella sua rappresentazione più assurda. Si parte dalla vicenda, realmente accaduta nel 2012: un’anziana parrocchiana decide arbitrariamente di restaurare, deturpandolo, un “Ecce Homo”, affrescato nella cappella di Borja, paesino non lontano da Saragoza. Da qui si innesca un circolo mediatico inarrestabile, che mette in crisi la concezione accademica di arte, ponendo dubbi e rimettendo in discussione concetti quali l’avanguardia, presagendo persino la nascita di una nuova era iconoclasta.

“Burocrazia” è tutto incentrato sulle conversazioni grottesche e parimenti assurde che avvengono in un ufficio pubblico dove i dipendenti, frustrati e alienati dalle ripetitive mansioni, cercano un modo per giustificarle ribellandosi al dio denaro attraverso l’atto estremo di dar fuoco a delle banconote. Nell’intermezzo, una rapida e bizzarra scena in cui traduttori simultanei tentano di restituire il reale significato di un discorso, di per sé totalmente paradossale.

I dialoghi su cui poggia il testo sono credibilissimi nella loro assurdità: ascoltare le conversazioni tra i due critici che discutono sulla concezione di arte o le battute fulminanti e stravaganti tra i dipendenti del pubblico impiego valgono da soli tutto lo spettacolo. Se a questo si aggiunge una regia impeccabile capace di esserci senza prevaricare, ecco che “Furia avicola” diventa un gran bell’esempio di nuova drammaturgia. Da non perdere.