Un uomo, un orologio, un libro e un’arca al centro della scena.

Al grido di «Tutti a Berlino» l’attore-interprete Valerio Malorni racconta l’esperienza personale di emigrante del XXI secolo, artista che come molti giovani italiani di oggi cerca fortuna nel Nord Europa dove c’è più denaro, più freddo: «Sarebbe meglio andare al Sud, sole, cuore, amore». C’è un dilemma però. Se Noè aveva avuto la chiamata da Dio per sfuggire al diluvio con l’arca, Valerio l’attore deve trovare la motivazione in se stesso e convincere sua moglie… Complicato, facile fallire con l’intoppo della lingua poi. Ma Valerio si lancia nel vuoto cogliendo l’opportunità dell’Istituto di cultura italiana nella capitale tedesca, improvvisa lo spettacolo dove capita, davanti a un pubblico bengalese un po’ perplesso e a “crucchi” attoniti in metropolitana. È giunta la sera del debutto, non c’è più tempo di mostrare l’orologio è ora di agire, di provare, di sperare. Il giorno successivo una sorpresa dà finalmente un senso agli sforzi di Valerio, la testimonianza di un uomo che è umano, che non si crede Dio: il diluvio è diventato pioggia, la pioggia lacrime («The tears I shed yesterday have become rain – Le lacrime che ho versato ieri sono diventate pioggia», direbbe il monaco zen Thich Nhaht Hahn). Siamo tutti interconnessi, tutto il mondo è Paese.

Teatro nel teatro, “L’uomo nel diluvio” sperimenta una trama destrutturata, l’episodio personale, la messinscena e il pubblico che partecipa. Qualche commento alla fine dello spettacolo evidenzia che «Non si capisce la trama», «È carino, divertente ma…». Gli autori Amendola/Malorni scelgono un registro asciutto, sottile, senza lustrini o facili ammiccamenti (a parte la musica “Vado via” di Domenico Modugno e “Singing in the rain”): non stravolge, spiazza con ‘dolcezza’, agisce raccontando la malinconia di chi parte con la giusta distanza emotiva. Non amplifica, ma mostra sottraendo. Malorni potrebbe giggionare, invece sceglie di contenersi, di fermarsi un attimo prima: indirettamente ci mostra un’Italia che non si lagna, non urla, non grida, ma pensa, agisce e trova un senso profondo alle proprie scelte, alla propria esistenza. Non si parla di carriere artistiche, di come arricchirsi, di come farsi largo nella competizione con facili scorciatoie, si cerca un pubblico che dia riconoscimento, esistenza, motivazione e significato al lavoro di un artista, che voglia vivere di questo dignitosamente.

I silenzi sono densi e poetici, dosati abilmente da Malorni e dalla regia: «Concessione miracolosa… Il silenzio non è assenza di suono ma una cosa infinitamente più reale del suono, la sede di un’armonia più perfetta di quante possano nascere da una combinazione di suoni», direbbe Simone Weil.
«Less is more» (di meno è di più). E infatti ci vuole coraggio a sottrarre, a divertire sussurrando, a suggerire una speranza con sereno distacco. Chi cerca gli effetti speciali, lo stordimento forse non lo apprezzerà, chi vuole rispecchiarsi divertendosi sì.

Spettacolo umano, molto umano.

TitoloL'uomo nel diluvio
AutoreSimone Amendola e Valerio Malorni
RegiaSimone Amendola e Valerio Malorni
CostumiMaria Linda Fusella
InterpretiValerio Malorni
Durata75'
ProduzioneBlue Desk
Anno2013
GenereMonologo
Applausi del pubblicoScroscianti
In scenaDal 2 al 3 dicembre 2014 Teatro India di Roma