Siamo negli Anni ’70 (lo si intuisce vagamente dai vestiti dei protagonisti), nel pieno degli anni di piombo (lo si capisce solo all’inizio del secondo atto). Fosco, 40enne titolare di uno sfasciacarrozze della periferia di Roma (reso palese dall’accento dei personaggi), con precedenti penali alle spalle, corre dietro la bella vita e le donne, per evadere da una realtà fatta da un fratello ritardato strappato dal manicomio (Manlio) ed una moglie troppo oppressiva a cui dare i resti. Lo sfascio diviene allora il polo aggregante di una piccola umanità di periferia, in bilico tra l’arte dell’arrangiarsi e la piccola delinquenza. L’aiuto proviene dalle numerose conoscenze di Fosco e dall’attesa dell’occasione buona. E l’occasione si presenta quando Ugo, un poliziotto vittima di una perdita al gioco, obbliga Fosco a rendersi suo complice in una rapina in gioielleria, con l’infame Diecilire a fare da palo nonché autista. La rapina si conclude al meglio, ma i ‘veri’ problemi iniziano subito dopo…
Questa è la storia de “Lo sfascio” di Gianni Clementi che vede Nicolas Vaporidis, (noto per i trascorsi nel cinema giovanilistico da “Notte prima degli esami” e similiari), nei panni di Diecilire, Alessio di Clemente in quelli di Fosco, Augusto Fornari veste i panni del ritardato Manlio e lo Scrocchiazeppi di “Romanzo Criminale Il Serial” Riccardo De Filippis nel ruolo del poliziotto Ugo. Chiude il cast Jennifer Mischiati, come moglie di Fosco ed in altre due apparizioni a sorpresa.”Lo sfascio” tende a trasporre sul palcoscenico trame, atmosfere, personaggi e situazioni alla “Romanzo Criminale”. E qui risiede tutto il coraggio e al contempo l’inadeguatezza dello spettacolo. La trama procede per situazioni che si susseguono l’una sull’altra in maniera incostante, con un ritmo troppo al di sotto di un livello di guardia accettabile; gli anni Settanta e il clima cupo del terrorismo dilagante per le strade di Roma (nello specifico) mancano completamente per tutta la prima ora di spettacolo, per irrompere in maniera artefatta e fastidiosamente invadente all’inizio della seconda attraverso un’invenzione (?) drammaturgica abbastanza elementare; i personaggi poi sono ombre “criminali”, caratterizzati da un singolo elemento reiterato, riproposto senza soluzione di continuità, fino allo sfinimento. A farne maggiormente le spese sono il Manlio di Fornari e Vaporidis capace di una sola espressione riproposta in più e diverse occasioni.
Va bene che Gianni Clementi non è Giancarlo De Cataldo, ma la scrittura dello spettacolo – quindi la base di tutto l’impianto drammaturgico -, risulta debole, inconsistente, priva di qualsiasi pathos, climax emotivo e/o drammaturgico; manca il supporto registico, dello stesso Clementi e di Saverio Di Biagio, che giustappone una situazione dopo l’altra, costruendo un pericoloso domino in cui l’inadeguatezza di una tessera si ripercuote sulla successiva e su quella dopo. E così via, così via, così via…
Lo sfascio… Di nome e purtroppo di fatto!
Titolo | Lo sfascio |
Autore | Gianni Clementi |
Regia | Saverio Di Biagio, Gianni Clementi |
Musiche | Davide Cavuti |
Scene | Carmelo Giammello |
Costumi | Andrea Stanisci |
Interpreti | Nicolas Vaporidis, Augusto Fornari, Alessio Di Clemente, Riccardo De Filippis, Jennifer Mischiati |
Produzione | Mind Production, Simone Giacomini |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Applausi del pubblico | Ripetuti |
In scena | fino al 17 novembre 2013 al teatro Sala Umberto | Roma |
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