«L’ultimo passo dipende dal primo e il primo dipende dall’ultimo»

Pierre Sogol è morto: così dicono. Siamo tutti invitati ad una cena per commemorarlo. È questo il punto di partenza, il punto fermo di “Augenblick”: la percezione di ciò che accade dopo cambia in relazione al percorso che ciascuno spettatore sceglie di compiere. In tedesco Augenblick significa “attimo”, “istante”, ma anche “batter d’occhio”: perché, in questo esperimento di teatro immersivo, il tempo dello spettacolo dipende dallo sguardo dello spettatore. Più scene si svolgono simultaneamente nei diversi ambienti ed ogni spettatore può decidere di volta in volta quale spazio esplorare e quale personaggio seguire, lasciandosi guidare dalle suggestioni sonore, da gesti complici e dalla propria curiosità.

Il tempo di “Augenblick” è un flusso ciclico di eventi, che si susseguono in iterazioni e sottili variazioni, fra balli ipnotici e pozioni allucinatorie. Lo spazio si articola in stanze e passaggi nascosti, in un’atmosfera intrigante, disseminata di indizi enigmatici e simboli esoterici. L’ambientazione è curata nei dettagli: tappeti e specchi, alambicchi e sfere armillari, quotidiani d’epoca, tarocchi, un dipinto raffigurante la Sibilla, il rosolio e l’assenzio da sorseggiare al bancone. Nelle accattivanti scelte musicali e scenografiche affiora un immaginario cinematografico che passa dalle canzoni di Marlene Dietrich agli animali impagliati di “Psyco”. Se la bara al centro della stanza rimanda al “Dracula” di Francis Ford Coppola, la situazione di cena borghese, imprigionata in una trappola spazio-temporale, riporta inevitabilmente all’ “Angelo sterminatore” di Buñuel. Il labirinto e i ritratti fotografici impossibili, appesi alle pareti, fanno pensare all’Overlook Hotel di “Shining”, ma è soprattutto un altro elemento di ispirazione kubrickiana a divenire protagonista: le maschere bianche, in stile “Eyes Wide Shut”, che gli spettatori devono indossare durante lo spettacolo.

Curiosamente, dunque, qui la maschera non appartiene a chi recita, ma a chi guarda. Inizialmente, le maschere appaiono come uno strumento di segregazione, che identifica gli spettatori come tali distinguendoli dai performers e proteggendoli nel loro voyeurismo. L’abitudine alla visione passiva porta a ricreare una quarta parete anche quando non c’è: se però lo spettatore supera la barriera invisibile, la maschera aiuta ad astrarsi dalla propria quotidianità per entrare in un mondo altro, a demolire le relazioni note per costruirne di nuove. Ci si accorge, così, che non sono poi così netti i confini tra attori e spettatori, tra spazio della scena e spazio del pubblico.

La drammaturgia risulta però troppo frammentata: le singole azioni e i rari dialoghi sono tasselli così rarefatti da rendere vano il tentativo di comporre una narrazione, di comprendere una storia, gli antefatti, i rapporti tra i personaggi. Molto scarne le battute affidate agli attori, non sempre risultano convincenti: su tutti, spicca però la figura del maggiordomo Jakob, interprete femminile in abiti maschili, dall’intensità magnetica. Al di là di questi limiti, l’esperienza di “Augenblick” è coinvolgente, forte e destinata a rimanere impressa nella memoria.

TitoloAugenblick - L'istante del possibile
AutoreEmiliano Loria, Riccardo Brunetti
RegiaRiccardo Brunetti
SceneAmaranta/Orma Fluens, Leonardo Mian
CostumiRosanna Notarnicola, Debora Mian
InterpretiAlfredo Pagliuca, Carolina Bevilacqua, Emanuele Nargi, Paola Scozzafava, Riccardo Brunetti, Sandra Albanese, Silvia Ferrante
Durata145'
CoproduzioneAmaranta/Orma Fluens - Teatro Studio Uno
Anno2015
Ideazione e realizzazione tecnicaCristiano Milasi
Applausi del pubblicoRipetuti
CompagniaAmaranta/Orma Fluens
In scenadal 12 al 22 febbraio 2015 al Teatro Studio Uno - Via Francesco Baracca, 52 - Roma