C’è più di una vena di tristezza nel racconto scritto da Alfredo Angelici e Francesco Giuffrè, quest’ultimo anche regista, che immagina la vita dell’Uomo Tigre anni dopo la vittoria finale su Grande Tigre. L’intera atmosfera che campeggia ne “L’Uomo Tigre” è di angoscia e amarezza per la fine di un eroe; un’angoscia e un’amarezza che si fatica a staccate da quelle che si palesano e si fanno sempre più forti, man mano che lo spettacolo va faticosamente avanti, quando si avverte la consapevolezza che la storia alla quale si sta assistendo sta spazzando via, in un sol colpo, il dolce ricordo di un manga che ha allietato l’infanzia di molti.
“L’Uomo Tigre”, l’eroe che vince contro il Male, l’eroe che può apparire cattivo e feroce ma che in realtà lo è solo con chi approfitta degli innocenti, in questo “day after” è ridotto a una macchietta. Gli autori del testo, forse, hanno provato a dare un significato alto all’intera operazione, cercando di far passare il concetto che è possibile rinascere anche quando non si vede più una via d’uscita né la famosa luce in fondo al tunnel. Mai meta fu però così lontana: ci si trascina pesantemente scena dopo scena. Tante le lungaggini (la ripetizione per ben tre volte dell’avvilente spettacolino dell’emaciato Uomo Tigre/Alfredo Angelici orchestrato dai suoi “aguzzini”, se così si possono chiamare i comprimari Ruriko/Caterina Corsi e Daigo/Camillo Grassi, o le scene della cena post-spettacolo, che nulla aggiungono alla storia), poco definiti i personaggi e dialoghi praticamente inesistenti. Il tutto accompagnato da una regia che ha fatto il possibile per dare spessore e per inserire dei guizzi tali da rendere il racconto più appassionante o, almeno, vivo. Invece neanche un’emozione, non un palpito o un colpo di scena. La storia si trascina verso un finale scontato, che lascia solo una grossa domanda: c’è ancora speranza per la drammaturgia italiana?
Titolo | L’Uomo Tigre |
Autore | Francesco Giuffrè, Alfredo Angelici |
Regia | Francesco Giuffrè |
Costumi | S. Solimando |
Luci | Beppe Filipponio |
Aiuto regia | Marco Bellomo |
Interpreti | Alfredo Angelici, Caterina Corsi, Camillo Grassi, Alessandro Filosa |
Anno | 2015 |
Genere | Drammatico |
Applausi del pubblico | Ripetuti |
In scena | Fino al 24 maggio 2015 al Teatro Argot di Roma |
Ho visto lo spettacolo e mi chiedo cosa abbia visto questa “critica”. Progetto ben confezionato, attori bravi, regia delicata e poetica. La metafora è ovviamente epica come nella natura del cartoon. Le reiterazioni delle scena raccontano un ristagno assolutamente coerente con il progredire della storia. Forse qualche passaggio va asciugato ma credo sia lo spettacolo migliore che ho visto all’Argot quest’anno. E poi la “critica” non dovrebbe analizzare? Spiegare? Qui è solo uno sparare a zero senza evidentemente aver capito. Purtroppo la democrazia telematica crea questi MOSTRI. Forse questa signora non ha i mezzi per criticare con serenità e leggendo la sua recensione sono io a chiedermi: “C’è un futuro per la critica in Italia?”
Ciao Andrea, credo che criticando la mia critica tu sia incorso nello stesso errore contestatomi. Ti ringrazio però per il tuo punto di vista sempre bene accetto e rispettato. Questo spazio serve a questo, esempio anch’esso di quella democrazia telematica che – da quello che scrivi – sembra, e sottolineo sembra, spaventarti tanto. Ciò detto, ben vengano critiche alle critiche. Del resto, chi ne è immune? Sinceramente non ho trovato poesia in questo spettacolo né equilibrio nella narrazione e nemmeno traccia di quella delicatezza di cui parli.
Sfortunatamente non ho visto altri spettacoli quest’anno all’Argot quindi non so se sia il migliore della stagione di questo teatro. Personalmente non amo fare classifiche, ogni spettacolo è a sé, ha una sua storia, ha una sua genesi e un suo fine (senza considerare il budget!).
Ci tengo però a sottolineare che in passato ho potuto apprezzare lavori sia di Angelici che di Giuffrè.
Ricordo per esempio Hell – Un’altra storia del Moro di Venezia con la regia e l’adattamento di Giuffrè di cui qui (https://www.ilgrido.org/old/teatro/schede/hell.htm) trovi una mia recensione; o lo spettacolo “Confessioni di una mente pericolosa” visto qualche anno fa al Teatro Belli di Roma e dove ho potuto apprezzare la reale bravura di Angelici. Entrambi spettacoli davvero coraggiosi e originali.
Ti saluto caro Andrea. Alla prossima!
Cara Patrizia. Grazie per la recensione. Accolgo il tuo punto di vista. Prendo le tue critiche, le mondo da un eccesso di rabbia frustrata così diverranno indispensabili consigli da tenere in considerazione per il futuro. E’ impossibile nel momento in cui si scrive, non far agire i propri gusti, la propria natura, il proprio sentire, ma solo quando questo è distinto dall’analisi, il lettore o lo spettatore ha la possibilità di essere orientato e non manipolato dal giudizio critico di chi scrive. Avrei preferito mandarti un mazzo di fiori, ma è un gesto antico. Un abbraccio dall’Uomo tigre ed anche da Raskolnikov
Caro Alfredo, come ho avuto modo di specificare nel precedente commento, conosco te come attore e Giuffrè come regista. Vi ho apprezzati molto entrambi in passato sia come “critico” che come semplice spettatrice (amo il teatro e non lo frequento solo per lavoro). In merito a Raskolnikov, che citi, ricordo che in passato sono rimasta invece perplessa rispetto all’operazione troppo corale fatta con “Delitto e Castigo” sempre all’Argot e di cui ho anche scritto qui (https://www.ilgrido.org/recensioni/delitto-e-castigo/). Capisco ciò che dici in merito alla distinzione fra scrittura soggettiva e analisi critica. Penso però che ogni recensione così come ogni testo scritto che non sia pura cronaca giornalistica abbia in sé elementi soggettivi e che non possa essere altrimenti. In caso contrario saremmo macchine e non potremmo apprezzare appieno le emozioni che il teatro sa regalare.
Un abbraccio a voi
Sono stato questa sera a vedere questo spettacolo attratto dal nome de l’uomo tigre.devo dire che questo spettacolo risulta una delle cose peggiori che ho visto.tralasciando gli errori che denotano che gli autori dell’uomo tigre originale non ne hanno ne ben chiara la poetica ne tantomeno la storia.lo spettacolo mi è sembrato pretestuoso nell’usare il nome di un famoso personaggio per attrarre pubblico con il nome del Cartoon in locandina e trascinarlo in uno spettacolo ripetitivo e scritto male dove si ripetono scene su scene per dare la sensazione di angoscia ma si da solo noia .l’uomo tigre come dice la recensione ridotto a una macchietta e’fastidioso..il balbettare del protagonista irritante..la sensazione di essere chiusi a chiave da una Ruriko isterica e di non poter uscire e’terribile.avessi letto la recensione prima non avrei speso la non modica cifra di 15 euro per questo poco rispettoso e noioso spettacolo.e dire che raccontare la storia dei tormenti di naoto date fra il finale dell’uomo tigre e il seguito uomo tigre due dove si conosce la sorte del personaggio poteva essere teatro di una storia veramente molto bella.gli attori e la regia scenica ce la mettono tutta ma le storie non si scrivono così .da evitare
Accidenti! Ho visto stasera l’ultima replica di questo spettacolo e mi sono messo a cercare recensioni e trovo tre commenti di cui uno postivo e due molto negativi (uno della critica). Io sono rimasto estasiato dallo spettacolo e mi sorprendere leggere cose così diverse. Capisco lo spettatore che è andato convinto di vedere il personaggio del cartoon, ma la critica? Possibile sia così dura? Sarebbe interessante sapere perchè uno stesso spettacolo piace e non piace così tanto. Io non sono mai stato un fan del cartoon. quindi sono andato con degli amici perchè ho visto altri spettacoli di Giuffrè e mi sono sempre piaciuti molto. Questo l’ho trovato di una poesia straziante, con degli attori molto bravi e una confezione superba. E tutti i miei amici e altri commenti rubati nel foyer, mi supportavano nella mia percezione, tutti commenti positivi allo spettacolo. Forse se si è andati convinti di vedere “L’uomo tigre” del cartone, capisco che si possa essere rimasti delusi, ma il cartone credo sia lo spunto per raccontare altro. Un altro fatto di mediocrità nella quale viviamo e di cui non ci accorgiamo, un mondo di bugie anestetizzanti, un mondo dove si dovrebbe lottare ma si preferisce sopravvivere. Io ci ho visto tante cose e non mi sono annoiato mai. Io, nel mio piccolo lo consiglio!