Il direttore del doppiaggio sta al doppiatore come il regista all’attore. Sceglie le voci più giuste per tipologia di recitazione e timbro vocale nel rispetto dell’impostazione originale. L’importante è la corrispondenza interpretativa. Il mix a cui deve stare attento è qualità ed aderenza.
Da qui l’importanza dell’adattatore ai dialoghi o dialoghista, a cui è affidata la trasposizione, l’elaborazione e l’adattamento in sincronismo ritmico e labiale dei dialoghi originali per renderli comprensibili, salvaguardando allo stesso tempo eventuali idioletti (caratteristiche linguistiche dei personaggi). Il suo è un lavoro rigoroso ed allo stesso tempo creativo che comporta una perfetta conoscenza della lingua straniera, abilità ed inventiva per scomporre e ricomporre il testo.
Spesso le due figure coincidono, come nella persona di Roberto Chevalier, doppiatore, direttore del doppiaggio e dialoghista.
Il suo lavoro parte dalla visione in lingua originale del film?
Certamente. Il doppiaggio non deve inventarsi niente. Un buon doppiaggio è quello che si nota poco ed un buon doppiaggio è tale solo quando rispecchia esattamente l’originale sia nell’interpretazione che nei dialoghi. Molte persone che fanno i mestieri di dialogisti, traduttori, adattatori spesso tendono ad inventare ma non c’è nulla da inventarsi. E’ tutto scritto sul copione, bisogna solo riproporlo il più fedelmente possibile. Certo se ci sono espressioni particolari nell’altra lingua dobbiamo renderle fruibili nella nostra, ma mi trovo talvolta degli adattatori che il capo della polizia lo chiamano questore, la centrale di polizia la questura… Tu devi fotografare una realtà e devi riproporla per quella che è con altre tradizioni, altri usi, senza inventarsi nulla.
Certo esiste la difficoltà di restituire idiomi e le inflessioni localistiche di una lingua nella versione italiana vanno a perdersi: ho fatto Tom Cruise in Cuori Ribelli dove parlava irlandese e L’ultimo Re di Scozia in cui Forest Whitaker ha vinto un Oscar perché parlava un inglese con accento dell’Uganda. Come fai a renderlo in italiano? E’ impossibile.
In cosa consiste il suo lavoro in sala di doppiaggio?
Il mio compito è far aderire il tipo di recitazione ed espressività a quello che appare sullo schermo, nel rispetto della peculiarità della nostra lingua. La differenza tra un buon doppiaggio ed uno mediocre è saper riconoscere l’intonazione da prendere e quale non prendere. Quando ho fatto Truman Capote, io che ho una voce morbida, virile, simpatica, mi sono ritrovato a dover fare una voce antipatica, squillante, esattamente agli antipodi. Ma è il bello di fare questo mestiere. Il bel doppiaggio è quando passi dall’originale al doppiato e non senti la differenza.
C’è anche un problema di tempi e costi. Siamo spesso chiamati a dare il massimo nel minimo tempo con pochi soldi.
La traduzione dei dialoghi in italiano è compito del dialoghista?
Se il dialoghista conosce la lingua può fare tutto. Io conosco abbastanza bene l’inglese, ma per guadagnare tempo preferisco farlo tradurre e poi controllare io stesso la traduzione.
Alcuni attori sono fortemente caratterizzati dalla loro voce italiana. Quanto influisce questo nella sua scelta delle voci?
C’è sempre una consultazione obbligatoria con la committenza (distribuzione italiana, NDR). Io posso decidere tra 2/3 voci che hanno doppiato quell’attore e dare la preferenza a chi ritengo il più giusto. Gli americani entrano in gioco con il supervisor se contemplato. Qualche volta si fanno mandare in America i provini. Quando feci Moulin Rouge, inviai i provini delle voci al regista Baz Luhrmann che con mia grande soddisfazione scelse le stesse voci alle quali avevo dato la preferenza.
I grandi divi guadagnano nell’avere una voce fissa, sempre che sia la voce giusta, che ci stia bene e lo renda bene, personalizzandolo, rendendolo riconoscibile e donandogli personalità. Cosa sarebbe Woody Allen senza Oreste Lionello? Dustin Hoffman senza Amendola? Sean Connery da quando è morto Pino Locchi non è più lui.
Lei è la voce di Tom Cruise e Tom Hanks. Due attori considerati dalla critica in modo molto diverso. Lei che li conosce bene, come li giudica?
Sono 20 anni che li doppio. Tom Hanks è un attore bravissimo, molto tecnico, forse troppo quindi perde di anima. Tom Cruise invece passa di più perché c’è più simpatia, istintualità, sulla quale ha innestato delle buone qualità recitative, come in Magnolia e L’ultimo samurai. Ha fatto un grosso salto di qualità. Preferisco un attore che maturi nel tempo come Cruise piuttosto di un Hanks che recita come 20 anni fa, bravissimo ma poco coinvolgente. Mi è piaciuto ne Il miglio verde mentre ne Il codice Da Vinci l’ho trovato molto di maniera.
Lei ha curato il doppiaggio della riedizione in dvd di Brian di Nazareth dei Monty Phyton. Umorismo particolare basato sul non sense su giochi di parola difficili da rendere in altre lingue. Spesso si è sopperito attraverso l’uso di dialetti. Che difficoltà si incontrano in questi lavori?
Nella vecchia edizione c’erano alcune assurdità, tipo un personaggio doppiato nel corso del film da tre voci differenti. Nella nuova versione ho scelto bravi attori capaci di fare tutte le caratterizzazioni, come i Monty Phyton che interpretavano diversi ruoli.L’uso dei dialetti: è difficile saper trovare un attore che sappia farli tutti e bene. Nella vecchia versione c’era un venditore del mercato doppiato da Pannofino in piemontese. Ora Pannofino è pugliese ed allora dialetto per dialetto, ho trasformato il piemontese in pugliese. Una delle poche libertà che mi sono preso. La stessa canzone finale che si riallaccia al contenuto del film non era tradotta ed ho fatto inserire i sottotitoli perché quella canzone ha un senso nel contesto generale.
Solitamente sono contrario a ridoppiare i vecchi film, perché si perde il fascino delle voci, il senso dell’epoca, il tipo di recitazione e quell’imprinting che era stato dato.
In Italia esiste una forma di censura riguardo alla traduzione di dialoghi particolarmente coloriti?
In quel caso mi consulto sempre con il cliente. Chiedo che devo fare? Quello che vogliono io faccio perché loro sanno il target da coprire.
Come per esempio in Juno?
E’ stata una gioia farlo per questo modo di parlare diverso di ogni personaggio, per le continue invenzioni linguistiche della protagonista che mi ha spinto ad un lavoro di ricerca continua di parole e sinonimi. E dove non potevo rispecchiare l’originale sono andato ad inventarmi quell’okka che sta per ok, oppure pescando dalla mia esperienza il termine ‘fagiolo’ per indicare il bambino, cosa che facevo insieme alla mia compagna quando aspettavamo nostra figlia…
Lei è stato direttore del doppiaggio di C.S.I. Las Vegas immagino ci sia stato un lavoro particolare nei dialoghi per i termini tecnici che conteneva.
Li siamo invece all’arrembaggio. Non c’è stato nessun tipo di consulenza ed essendo una cosa così particolare e specifica ci sarebbe voluta. Lavoravamo a ritmi così veloci che se avevo tempo di telefonare ad un amico medico bene, altrimenti: oggi arrivava la puntata; traduzione in 3 gionri; adattamento altri 3 giorni; dopo una settimana vi va in sala di doppiaggio; altri cinque giorni ed il telefilma era finito. Avevamo poco tempo per riflettere.
Qual’è la cosa che più la soddisfa nel suo lavoro?
La consapevolezza di fare il meglio che posso nei tempi e nei modi che mi sono assegnati. Datemi una leva e vi solleverò il mondo; se mi date uno stuzzicadenti faccio quello che posso…
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