Quel che rimane negli occhi alla fine di un film come Il matrimonio di Tuya sono le immagini di una terra mal tecnologizzata, attraverso la quale si viaggia vuoi a dorso di pony o di cammello, vuoi su improbabili carrette a tre ruote che si fatica a chiamare camion, è la buona testardaggine della sua protagonista, un tutt’uno con la terra arida e petrosa e i pentoloni pieni di zuppa ribollita, sono le personalità sfumate, non consolatorie né manichee, di tutti i personaggi secondari.
Tutto questo per una pellicola che poteva, per ambientazione e pieghe della trama, cadere nell’insidiosa trappola del melodramma in costume, ci fa capire un po’ di più quale possa esser stato il giudizio della giuria del Festival di Berlino nell’attribuirle l’Orso d’oro.
Wang Quan’an, regista cinese, si avventura nella mongolia settentrionale, andando a riscoprire gli splendidi scenari naturali de La storia del cammello cha piange, splendido documentario presentato alla notte degli Oscar.
Gira così in una terra arida di arbusti come di parole, in cui l’acqua è rarefatta al pari delle relazioni sociali, e il cibo così come le parole è semplice e scarno. Riesce a trarne una storia godibile, ricca di riusciti momenti di humor, ma, sottotraccia, intimamente drammatica, soffocata, eppur così piena di vita, desiderosa d’aria.
La storia è gonfia di dolorosa attesa sin dai primi passi: il marito di Tuya è invalido, e per poter tirare avanti la giovane donna è costretta a divorziare e a risposarsi, ma solo qualora il futuro marito si prenda l’impegno di tenere con sé anche Bater, da ormai quattro anni senza più l’uso delle gambe.
Dopo varie peripezie, che movimentano il film al punto giusto da non renderlo noioso ma nemmeno macchiettistico, Tuya si accaserà con un buon amico, vicino di casa. Sottile a questo punto la scelta del regista nell’evidenziare, nel pianto finale, l’impossibilità di risoluzione di una domanda di senso e di un desiderio di felicità così profondo come quello della giovane protagonista, anche attraverso la migliore delle risoluzioni possibili.
Wang Quan’n guarda più in là di quel che racconta, e riesce ad abbozzare tentativamente il grande mistero della vita attraverso una storia semplice, eppur così maledettamente complicata, al pari della terra dalla quale proviene.
La complicazione che emerge sottotraccia attraverso una apparente, immutabile, routine, è la vera forza di un film per il quale avventurarsi in complesse disquisizioni tecniche su regia e via discorrendo appare francamente superfluo.
Onde tentare di rendere trasparente e cristallina quella ricerca di Tuya di una felicità così a portata di mano, quanto terribilmente e ineluttabilmente nostalgica. [pietro salvatori]
Titolo originale | Tuya de hun shi |
Regia | Wang Quan An |
Sceneggiatura | Lu Wie, Wang Quan An |
Fotografia | Lutz Reitemeier |
Montaggio | Wang Quan An |
Cast | Yu Nan, Bater, Sen ge, Zhaya, Peng Hongxiang |
Produzione | Maxyee Culture Industry Co. Ltd |
Anno | 2007 |
Nazione | Cina |
Genere | Commedia |
Durata | 96' |
Distribuzione | Lucky Red |
Uscita | 08 Giugno 2007 |
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