House of Cards senza il Frank Underwood di Kevin Spacey è come l’Otello di Shakespeare senza Jago, Star Wars senza Darth Vader, I soliti sospetti senza Kaiser Soze, i Queen senza Freddy Mercury.

L’ipocrisia di Hollywood che da una parte licenzia Kevin Spacey sulla base di voci e non di prove, senza alcun processo e condanna, mentre dall’altra premia con l’Oscar un regista processato, giudicato e condannato per stupro (Roman Polansky nel 2003), oltre ad aver interrotto forse per sempre la carriera di un grandissimo attore (giudizio che va oltre le vicende giudiziarie ancora in divenire), ha messo prematuramente fine ad una serie televisiva che si reggeva sul magnetismo ipnotico del suo protagonista.

Ma Netflix aveva già messo in cantiere la sesta e finale stagione, e non avendo il coraggio di cancellarla e con la presunzione di poter fare a meno di colui che l’aveva portata al successo, ha promosso sul campo Clare Underwood – Lady Macbeth non potrà mai essere Macbeth –  già Presidente degli Stati Uniti alla fine della quinta stagione, facendola scontrare non più con il marito in cerca di vendetta (che duello sarebbe stato) ma con un manipolo di nani che si agitano inerzialmente come mulini al vento.

Solitamente più è riuscito il cattivo (il villain) più sarà riuscita la pellicola. Basti pensare alla saga cinematografica di Batman in cui rimangono maggiormente impressi nella mente dello spettatore i Joker di Nicholson o Ledger, come Pinguino di De Vito piuttosto che l’Enigmista di Jim Carrey al contrario dei vari Michael Keaton, George Clooney, Ben Affleck, Val Kilmer e Christian Bale che si sono alternati nel ruolo del protagonista Batman.

Per tentare di rendere colmabile il vuoto lasciato dall’ingombrante protagonista, gli sceneggiatori hanno costretto Clare Underwood e di conseguenza la brava ed algida Robin Wright a scimmiottare Frank nel rompere la quarta parete e rivolgersi direttamente allo spettatore senza avere il medesimo mefistofelico sguardo di cui Spacey era capace per rendere il pubblico testimone silenzioso e complice delle sue nefandezze. Inoltre è costretta a compiere più delitti e intrighi di quanti non ne abbia commessi il marito nelle cinque stagioni precedenti con un repentino abbandono di qualsiasi parvenza di verosimiglianza che aveva sorretto l’impalcatura della serie, conditi da salti temporali e buchi narrativi a dir poco clamorosi (che non svelerò qui, ma per curiosi e appassionati evidenti tra la sesta e la settima puntata).

Insomma un incredibile autogol per la piattaforma Netflix ed un fortissimo rimpianto per quello che poteva essere con Kevin e che invece è stato senza Spacey.