È di questi giorni la polemica sul premio insignito dalla giuria del 75° Festival di Venezia a “Roma”, il film del messicano Alfonso Cuarón prodotto d Netflix. Non si discute sulla qualità intrinseca dell’opera (è stato votato all’unanimità, 9 a 0 ha informato il presidente della giuria Guillermo del Toro) ma sulla liceità di premiare un’opera cinematografica destinata non a tutti e non alle sale ma al piccolo schermo e solo agli abbonati.
Avanguardisti (tutto cambia, tutto si trasforma) si schierano con il direttore Barbera che l’ha consentito, tradizionalisti col portafoglio (meno biglietti strappati meno soldi) si schierano contro e invocano il rigore di Cannes nel preservare il cinema nella sua essenza. A un certo punto prende una posizione tardo ottocentesca di basso profilo romantico, condivisa solo dall’autore della rubrica e non dalla rivista dove la rubrica è ospitata.
Questa: “È stato Wagner ad inventare il golfo mistico, quello spazio del teatro che si trova più in basso della platea, quella specie di buca in cui si sistema l’orchestra. Nel golfo mistico i musicisti diventano praticamente invisibili e così il pubblico, in quel bellissimo stato di tensione che precede lo spettacolo, è pronto a concentrarsi sull’evento scenico e solo su quello”.
Al cinema la sala è quello che per il teatro rappresenta il golfo mistico. La sala è quell’insieme di piccoli rituali propedeutici alla visione. Comprare il biglietto, mostrarlo alla maschera, cercare il posto, ognuno ha le sue preferenze, vicino dietro di lato centrale, sedersi, sistemarsi, osservare gli altri seduti vicino a noi, smadonnare interiormente per quella coda di cavallo che ci impedirà una visuale perfetta, mandare gli ultimi messaggi poi chiudere lo smartphone, entrare in quella specie di decompressione dalla vita quotidiana che è il momento in cui le luci si spengono. Il film deve ancora cominciare e siamo già proiettati in un altro mondo bellissimo, orribile, noioso, divertente che non conosciamo, che non possiamo ancora conoscere il mondo dei nostri vicini di posto i loro respiri, le loro risa, i bisbigli, lo sgranocchiare fastidioso dei pop corn. Siamo soli in mezzo al respiro della gente, non ci conosciamo, fuori dalla sala magari ci odieremmo e invece siamo pronti condividere emozioni (o noie) collettive. È la magia della sala che unita alla fruizione della pellicola proiettata nel grande schermo costituisce IL CINEMA.
Si tratta di un rapporto matematico: Sala e film = Cinema. La sala senza film non esiste. Il film senza sala non è cinema. È qualcos’altro. Né meglio né peggio. Qualcos’altro.
Per questo “Roma” di Alfonso Cuarón prodotto dalla Netflix ha vinto la 75° mostra di qualcos’altro.
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