Correva l’anno 2008 quando la Francia fu travolta dal fenomeno Giù al Nord – Bienvenue chez les ch’tis, pellicola che riscosse un notevole successo anche in Italia.
Corre oggi l’anno 2010 per l’uscita nelle sale del remake italiano di quella stessa pellicola con Claudio Bisio nei panni che furono di Kad Merad, con cui condivide una certa somiglianza fisica, per la regia di Luca Miniero che già in passato con Incantesimo Napoletano (storia di una bambina napoletana che si ritrova a parlare in dialetto milanese) aveva giocato e divertito con l’ab-uso di stereotipi e campanilismi italici.
Per chi ha già visto il film francese, la trama non presenta alcuna novità, fatta eccezione per la location dove dal profondo Nord della Francia, ci si trasferisce a Castellabate, provincia di Salerno, tra il Parco Nazionale del Cilento e il Vallo di Diano: Alberto (Claudio Bisio), responsabile dell’ufficio postale di una cittadina della Brianza, sotto pressione della moglie Silvia (Angela Finocchiaro) è disposto a tutto pur di ottenere il trasferimento a Milano. Persino fingersi invalido per salire in graduatoria. Ma il trucchetto non funziona e per punizione viene trasferito in un paesino della Campania che, per un abitante del nord, equivale a un vero e proprio incubo. Rivestito di pregiudizi, Alberto parte da solo alla volta di quella che ritiene la terra della camorra, dei rifiuti per le strade e dei “terroni” scansafatiche. Con sua grande sorpresa, Alberto scoprirà invece un luogo affascinante, dei colleghi affettuosi, una popolazione ospitale e un nuovo e sincero amico, il postino Mattia (Alessandro Siani) al quale darà pure una mano per riconquistare il cuore della bella Maria (Valentina Lodovini). Resta tuttavia il problema di come dirlo alla moglie Silvia. Già, perché da quando è partito, non solo il loro rapporto sembra rifiorito, ma agli occhi dei vecchi amici del nord Alberto è divenuto un vero e proprio eroe…
Il risultato è una commedia pallida rispetto all’originale, in cui si sorride il più delle volte piuttosto che ridere e sghignazzare, dove mancando l’effetto sorpresa della storia, gli autori avrebbero dovuto giocare maggiormente, con più coraggio e convinzione, sugli stereotipi e luoghi comuni di cui la pellicola si fregia.
La sensazione è quella di un film che procede con il freno a mano tirato, forse spaventati dall’idea di offendere una parte (“i terroni”) o l’altra (“i bauscia”), così che la pastosità dei toni e colori del film francese, nella versione italiana vengono sin troppo desautorati, diverse situazioni in cui si poteva giocare maggiormente depotenziate, con il risultato di una film fiacco e monocorde. A dimostrazione di ciò l’unica sequenza veramente riuscita e divertente del film, con l’arrivo a Castellabate della moglie del protagonista, in cui, complici gli abitanti del paese, viene letteralmente messo-in-scena la montagna di stereotipi e luoghi comuni di cui si cibava quotidianamente la donna. Questa era la chiave interpretativa con cui affrontare un film che appare come una grande ed imperdonabile occasione mancata.
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