Il tempo passa e placa gli ardori. Le prese di posizione si stemperano nel vuoto dell’attenzione. I partigiani del pregiudizio stanno combattendo la loro guerra altrove.
Qualche mese fa è uscito l’ultimo film di Nanni Moretti “Mia madre” e la morsa dei sostenitori a prescindere con «è un capolavoro di grazia e malinconia» e dei detrattori di professione «Moretti non è un regista, è solo uno stanco imitatore di se stesso», si è finalmente allentata.
Ora se ne può parlare e sommessamente scrivere.
“Mia madre” è volutamente un film fuori dal tempo. Non si vede uno smart phone, non si respira internet addirittura la figlia non chatta (o lo fa raramente) sui social network, non si vede la televisione, non si parla di euro. È una riflessione di se stesso su se stesso in un mondo fermo a trenta anni fa, che non esiste più. E questo potrebbe essere la forza dell’impianto. Ma la riflessione è debole, non profonda, lo sgomento della morte, l’abbandono, il contatto col vuoto di un mondo senza Dio. Non c’è epifania, solo il malinconico conforto di immedesimarsi nel dolore della scomparsa. È un film europeo privo di sostanza, non c’è la cattiveria di Haneke, non c’è la secchezza di Ozon, non c’è il disincanto e l‘orgogliosa superbia del primo Moretti, capace di cogliere il presente e sferzarlo rendendo i suoi film se non capolavori, memorabili.
Perchè questo era Moretti: aldilà della riuscita o meno del film, aveva la capacità di interpretare il proprio tempo. Non si ricordano i suoi film, ma le frasi estrapolate dai dialoghi sono diventati il disegno di una generazione. Da «No il dibattito no!» (“Io sono un autarchico”), a «Faccio cose vedo gente» (“Ecce bombo”), fino a «Continuiamo cosi, facciamoci del male» (“Bianca”) e «Sono uno splendido quarantenne» (“Caro diario”). Senza dimenticare «D’alema dì qualcosa di sinistra» (“Aprile”).
Ormai i suoi film, ispirati o di maniera, pur continuando a scatenare le stesse reazioni, uguali e contrapposte, terminata la programmazione nelle sale scivolano nell’oblio e non lasciano più alcuna traccia di sé.
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