Dear John
id.
Regia
Lasse Hallström
Sceneggiatura
Jamie Linden dal romanzo di Nicholas Sparks
Fotografia
Terry Stacey
Montaggio
Kristina Boden
Scenografia
Kara Lindstrom,
Summer Eubanks
Costumi
Dana Campbell
Musica
Deborah Lurie
Interpreti
Channing Tatum, Amanda Seyfried, Henry Thomas, Scott Porter, Richard Jenkins, Leslea Fisher
Produzione
Relativity Media, Temple Hill
Anno
2010
Nazione
USA
Genere
drammatico
Durata
110'
Distribuzione
Sony Pictures Releasing Italia
Uscita
07-05-2010
Giudizio
Media

Lasse Hallström nella sua eterogenea carriera ci ha dimostrato di conoscere molti degli ingredienti che spingono il pubblico nelle sale: trame avvincenti, ricostruzioni curate, personaggi affascinanti, musiche, ironia, originalità e nell’ultimo “Hachiko” (2008) la capacità di commuovere. Proprio le lacrime sembrano aver catturato ultimamente l’attenzione del regista, perché anche questo “Dear John” insiste molto sulle stesse corde della struggente storia del cane giapponese.
Qui però siamo nel 2001 a Charleston, nel South Carolina, dove John (Channing Tatum), aitante militare in licenza, incontra la bionda Savannah (Amanda Seyfried) e tra i due è subito amore. Tutto fila liscio come nella più dolce delle favole, ma a complicare le cose arrivano i giorni e i chilometri che li separeranno a causa degli impegni di John con l’esercito e di lei con l’università. L’appuntamento viene dato a distanza di un anno, con la promessa di scriversi per raccontarsi tutto (da qui il titolo del film) e le cose sembrano andar bene fino all’11 settembre 2001, giorno in cui la Storia sconvolgerà anche le singole vite dei due protagonisti. Con le spalle al muro, John dovrà fare chiarezza sul rapporto irrisolto con suo padre (il sempre affidabile Richard Harris) e i propri doveri di uomo, mentre Savannah dovrà decidere se vale la pena aspettare per vivere davvero il grande amore o provare senza John rendendosi utile a chi ne ha bisogno. Il ritorno di John farà luce su ciò che il Tempo inevitabilmente cambia e su ciò che dura nonostante tutto.
Nicholas Sparks ha scritto il moderno dramma d’amore da cui prende ispirazione la pellicola semplicemente attualizzando la tecnica del vecchio romanzo d’appendice; ascoltando certe frasi o immaginando certe scene in un’altra epoca, potremmo tranquillamente essere di fronte ad un giovane partito per il fronte durante la Seconda Guerra Mondiale. Hallström ha creduto di trovare la stessa rispondenza nel linguaggio delle serie televisive che riempiono i network di mezzo mondo e in certo cinema adolescenziale sull’”amore impossibile” (parte della produzione è la stessa della saga di Twilight): ci sono i surf e le feste sulla spiaggia, la fotografia patinata delle splendide location e, ogniqualvolta c’è da dire qualcosa di profondo, da salutarsi, da tenersi per mano, appare puntuale la chitarrina acustica e la voce calda di turno a sottolineare il pathos. Se questo funziona nella descrizione dei giorni romantici, appena entrano in scena i temi forti quali la guerra, la morte, le scelte di vita irrevocabili, il film sembra perdere il passo e tutto appare un po’ piatto e preconfezionato: gli scenari delle missioni di pace resi esotici da un cammello o un turbante e l’ospedale uguale a quello di altre mille fiction sembrano remare contro il climax della storia.
A indebolire ulteriormente il tutto ci pensano due protagonisti assurdamente solo positivi che compiono scelte sempre giuste, perlomeno secondo una morale assoluta, ma che ne pagheranno le altissime conseguenze. Il lato oscuro di John è quel po’ di mistero e rudezza che dà charme ai personaggi maschili da decenni, mentre Savannah è così perfetta che anche il suo amato le chiede a un certo punto di confessare un solo difetto; parolacce, che però non pronuncerà mai. Dopo anni di approfondimento giornalistico su gioventù deviata, alcool e bullismo, due ore di questo film rappresentano una buona compensazione. Nessuno qui beve, fuma o fa del male con vera cattiveria.
Fra queste limitazioni, l’indubbia capacità di raccontare e di coinvolgere di Hallström ne esce frustrata o quantomeno se la cava con troppa fretta alla resa dei conti. Resta d’altra parte l’apprezzabile e originale intenzione di voler parlare ai giovani col loro linguaggio, contestualizzandoli però nella storia recente e mettendoli di fronte a problematiche adulte, senza relegarli, come ultimamente spesso accade, tra vampiri e mostri in 3D. Purtroppo però personaggi buoni che fanno sempre la cosa giusta non garantiscono da soli la riuscita di un film.
[emiliano duroni]