L'altra verità
Route Irish
Regia
Ken Loach
Sceneggiatura
Paul Laverty
Fotografia
Chris Menges
Montaggio

Jonathan Morris

Scenografia
Fergus Clegg
Costumi
Sarah Ryan
Musica
George Fenton
Interpreti

Mark Womack, Andrea Lowe, John Bishop, Geoff Bell, Trevor Williams, Talib Rasool

Produzione
Sixteen Films, Why Not Productions, Wild Bunch
Anno
2010
Nazione
UK, Francia, Italia, Belgio, Spagna
Genere
drammatico
Durata

109'

Distribuzione
BiM Distribuzione
Uscita
20-04-2011
Giudizio
Media
| trailer |

Avevamo lasciato Ken Loach a giocare con le corde della commedia e dell'umorismo nel recente “Il mio amico Eric” e ora, quasi a voler compensare, lo ritroviamo in un più congeniale contesto di denuncia politica. Fergus ( Mark Womack), il protagonista di questa storia, è infatti un “contractor”, cioè uno di quei ex militari utilizzati come soldati privati in quasi tutte le missioni in giro per il mondo.
Tornato a Liverpool dopo aver lasciato quel remunerativo quanto insopportabile impiego, viene raggiunto dalla terribile notizia che il suo migliore amico Frankie (John Bishop), che proprio lui aveva convinto a diventare un contractor, è rimasto ucciso in Iraq, in un'imboscata sulla Route Irish, la strada più pericolosa al mondo, insieme ad una famiglia irachena. Le dinamiche della morte sembrano da subito poco chiare e così Fergus inizia un'affannosa ricerca della verità insieme alla vedova di Frankie Rachel (Andrea Lowe), grazie al ritrovamento di un cellulare che il suo amico era riuscito a fargli pervenire poco prima di morire. Tra i sensi di colpa verso Frankie e verso le famiglie degli innocenti che persero la vita in quell'agguato e la difficoltà nel trovare i veri colpevoli di tante sofferenze, scoprirà che l'avidità e l'inumanità di chi lucra sulla guerra non conosce confini.
Loach e il fidato sceneggiatore Paul Laverty sono ormai più di una coppia affiatata, che negli oltre vent'anni di collaborazione ha saputo creare un nuovo modo di raccontare il presente. Come molti rapporti longevi però non è esente da cedimenti e piccole crisi: in questo caso, più che in altre occasioni, l'analisi politica è piuttosto sommaria (in sostanza, l'Iraq è un Paese occupato in preda a mercenari senza scrupoli) e lascia presto spazio ad un intreccio thriller poco brillante. Si intuisce sempre troppo di ciò che succederà e il racconto non trae particolare beneficio da alcuni tocchi registici (o sarebbe meglio dire cliché?) che Loach usa come un marchio di fabbrica: ambientazione urbana, dialoghi coloriti e spesso urlati, istintività e aggressività dei caratteri principali.
Il gioco questa volta non riesce perchè Fergus e Rachel, che condividono anche una sofferta passione, non catturano la simpatia come i loro predecessori, e anche perchè sulle così dette “missioni di pace” e sui traumi ad esse collegati esiste una filmografia recente acuta e significativa, da “The Hurt Locker” fino al dramma familiare di “Brothers”.
Oggi come trent'anni fa insomma, il cinema engagé (quello di Loach ma anche quello tutto italiano di Rosi e Petri) raggiunge il suo fine quando pone dubbi e domande sull'attualità nella mente di chi guarda e non si limita a raccontare storie intorno ad una tesi.
[emiliano duroni]