Vendicami
Venceange
Regia
Johnnie To
Sceneggiatura
Wai Ka Fai
Fotografia
Cheng Siu Keung
Montaggio
David Richardson
Scenografia
Silver Cheung
Costumi
Stanley Cheung
Musica
Lo Tayu
Interpreti
Johnny Hallyday, Sylvie Testud, Anthony Wong, Lam Ka Tung, Lam Suet, Simon Yam
Produzione
ARP, Media Asia, Milkyway Image
Anno
2009
Nazione
Hong Kong, Francia
Genere
noir
Durata
108'
Distribuzione
Fandango
Uscita
30-04-2010
Giudizio
Media

Ad Hong Kong una famiglia viene sterminata per un regolamento di conti delle Triadi. Costello, padre di una delle vittime, arriva dalla Francia per vendicare la figlia. Ora è un chef ma in passato è stato un killer professionista. Deve fare in fretta, però, la vecchiaia gli sta portando via la memoria e la vendetta deve avere luogo prima che l'oblio sopraggiunga. Assolderà quindi una squadra di tre abilissimi sicari per poter muoversi più rapidamente nel paese estraneo.
C'è una poesia nelle immagini di Johnnie To che è fatta di movimento. Lo sfondo delle scene d'azione di Vendicami si muove sempre più rapidamente dei personaggi, dando vita a un contrappunto visivo che cattura e ipnotizza. L'aplomb con cui i tre killer (che ormai non agiscono più per denaro ma per obbedienza alla causa) vanno incontro al loro destino è avvolto da un turbine di cartacce spostate dal vento, l'effetto è straniante, cupo, quasi apocalittico. Il regista rinuncia al “controllo totale” sull'immagine e lascia che sia il caso a dirigere almeno parte della scena.
La solitudine contro cui i personaggi sembrano lottare vanamente ricorda un po' certi western, ma lì il territorio desolato era frontiera da esplorare e civilizzare, qui invece siamo al civilizzato-abbandonato. È il dopo, non il prima. Il rapporto con le immagini sembra l'unico modo per rimanere ancorati alla realtà: solo attraverso le foto il protagonista può rimanere legato a un passato che la sua labile memoria gli rende sfuggente. Dobbiamo aspettare il finale perchè To ci lasci uno spiraglio di speranza: il protagonista ormai privo di memoria vive interamente nel presente e solo questo riesce a portargli una sorta di serenità.
[davide luppi]

Parola a Johnnie To
Cosa l’ha affascinata di Johnny Hallyday?
I miei produttori mi hanno dato dei DVD di alcuni suoi film e concerti. Ho notato subito che aveva qualcosa di davvero mascolino. Dai concerti avevo capito che è molto famoso, ma non immaginavo fosse un vero idolo. È stato solo quando l’ho incontrato che ho capito che avremmo potuto lavorare insieme. Dovevo vederlo di persona per coglierne la magia unica. Il suo stile, la sua figura, il suo volto, i suoi incredibili occhi… sono segni di un passato molto intenso. È subito scattato qualcosa tra noi, nonostante la barriera posta della lingua. Ci siamo piaciuti subito a livello umano. Avvertivo una comprensione reciproca, una certa fiducia tra noi. È stato allora che ho capito che avremmo potuto fare un film insieme.

Non è stato complicato isolarlo a Hong Kong per tre mesi?
Temevo che non si adattasse al nostro modo di lavorare. Siamo distanti anni luce dal sistema americano con trailer privati e sciami di assistenti… Ma lui si è subito integrato. Sembrava che ci incoraggiasse a continuare a lavorare come abbiamo sempre fatto. Non voleva che cambiassimo le nostre abitudini. Anzi, voleva adattarsi lui a queste. Ha accettato tutto senza neppure il minimo segno di protesta: la pioggia finta sotto cui doveva girare sera dopo sera, le strade sporche… ovviamente, l’intera troupe l’ha subito adottato, rispettato, è piaciuto a tutti. Uno così famoso che sa essere talmente semplice, talmente alla mano: è insperabile! Abbiamo lavorato bene insieme.

Cosa pensa di lui come attore?
Quando è arrivato era molto concentrato, pronto a lavorare. Ha fatto poche domande. Voleva solo sapere se la sua idea di scena e la mia coincidevano. È molto preciso nella recitazione, nei gesti. Lasciava trapelare la sua sincerità. Siamo portati a credere in lui. È reale. E non ha fatto altro che dedicarsi al film, il che è meraviglioso se pensi che a Hong Kong, gli attori girano generalmente due o tre film contemporaneamente. Ci ha veramente dato tutto se stesso e tutto il suo tempo.

È stato un grande cambiamento per lei girare soprattutto in inglese?
Non per me, no. Ma lo è stato per gli attori di Hong Kong! Il vero cambiamento per me è stato girare il film con una sceneggiatura scritta. Di solito ho un copione mentale e lo sceneggiatore scrive mentre giriamo. Questa volta i produttori hanno voluto che trama e dialoghi fossero già scritti. Devo ammettere che non è stato male. Mi ha permesso di prendere in considerazione le idee di chi legge, e quindi di arricchire la sceneggiatura. Ma girare un film è sempre la stessa storia, con o senza sceneggiatura scritta. All’inizio sei tu il capo, il filo conduttore. Dopo qualche giorno è il film stesso che prende vita e comincia a imporsi, a decidere da solo. Quindi ci sono parti della sceneggiatura che evolvono durante le riprese. Ma a parte Johnny Hallyday, nessun altro attore l’ha letta!

Perché ha insistito affinché nessuno conoscesse la storia?
Per fare in modo che gli attori fossero naturali e spontanei. Per non dargli il tempo di creare qualcosa. In questo modo la situazione gli viene presentata direttamente e loro devo recitare di conseguenza. L’unica persona con cui ho parlato della storia è stato Anthony Wong. Nel film fa la parte di un killer esperto, che mantiene una certa distanza. Un samurai errante che non mette mai radici. Sa che con Big Mama, Costello è al sicuro. Forse gli sarebbe piaciuto finire come Costello…

Ci parli di Costello
È un uomo che ha vissuto intensamente e forse anche sofferto intensamente. C’è una specie di dolore in lui. I suo occhi raccontano storie che la sua mente ha dimenticato. È questo che mi interessa. Ogni cosa che ha vissuto è dimenticata. I suoi occhi sono l’unica traccia rimasta. Johnny ha dato a Costello molta umanità, lo ha reso davvero commovente.

Sylvie Testud è stata sul set per qualche giorno…
Ha acconsentito a venire a girare una piccola parte, ma essenziale perché è quella che dà inizio alla storia. Che attrice! Ha molta esperienza professionale. Sa subito come reciterà una certa scena. Il suo istinto è sempre azzeccato. Ha sfruttato ogni aspetto del suo ruolo, per quanto breve. L’ha basato sul fatto che, prima di tutto, è una madre. Cucina come una madre, protegge i suoi bambini come una madre. E quando l’ho vista sul mio monitor nella scena con Johnny Hallyday, non capivo cosa stesse dicendo, in francese, ma riuscivo a leggere le emozioni sul suo viso.

A lei piace mangiare e mangiare è una parte importante dei suoi film, soprattutto in questo
Riprendere un pasto è il modo più semplice e concreto di mettere in risalto i legami tra le persone. Mangiare è una forma di scambio, un’azione semplice, ma fondamentale. Mangiare è segno di vita…