L'uomo nell'ombra
The Ghostwriter
Regia
Roman Polanski
Sceneggiatura
Roman Polanski, Robert Harris
Fotografia
Pawel Edelman
Montaggio
Hervé de Luze
Scenografia
Albrecht Konrad, Katharina Binkerfeld, Bernhard Heinrich
Costumi
Dinah Collin
Musica
Alexandre Desplat
Interpreti
Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Olivia Williams,
Kim Cattrall, Eli Wallach, Timothy Hutton, James Belushi
Produzione
RP films, France 2 Cinéma
Anno
2010
Nazione
Francia, Germania, UK
Genere
thriller
Durata
128'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
09-04-2010
Giudizio
Media

Se il corpo del protagonista è un’Ombra, gli sguardi degli altri personaggi e della macchina da presa non sempre coincidono e tantomeno producono senso, tanto più che da Hegel prima e dal crollo del muro e delle torri, la storia come processo non esiste più qui nella terra ferma, mentre nell’isola l’autobiografia dell’ex premier come autoassoluzione è già scritta e lo inchioda al suo destino, rovesciandosi in una condanna senza appello. È il primato della letteratura e per esteso del cinema a due dimensioni ma che in realtà si dilata a tre, perché il linguaggio analogico è già digitale fin dalla sua fondazione, senza occhialetti e senza bisogno di sovrastrutture ulteriori che eliminino la distanza tra lo schermo e la poltrona. È la rivincita dell’inquadratura sulla finzione del potere che si nasconde dietro le scuse della lotta al terrorismo per continuare a perpetrare i suoi crimini di guerra, per ridurre le libertà civili e per cancellare i diritti dell’uomo. Dopo le esperienze dei film in costume, Polanski torna ad una storia di stringente attualità adattando il bestseller di Robert Harris, The ghostwriter. Uno scrittore senza nome e quindi privo di identità viene assunto dalla più importante casa editrice angloamericana per pubblicare le memorie dell’ex presidente del consiglio inglese proprio nel momento in cui il ministro degli esteri appena dimesso lo denuncia per aver appoggiato i famigerati voli della CIA, che in barba al diritto internazionale prelevavano e di fatto rapivano cittadini musulmani per arrestarli e torturarli nelle prigioni di Guantanamo.
Lo scrittore viene chiamato per sostituire il predecessore scomparso misteriosamente in riva al mare che aveva scoperto qualcosa che non doveva scoprire, le prove di un complotto che doveva rimanere segreto. Ma lo scrittore interpretato da un Ewan McGregor che per la prima volta si misura con un maestro del cinema, cerca in tutti i modi di non farsi coinvolgere e di dedicarsi a ciò che conosce di più, la forma letteraria. Appena riceve il manoscritto, un tomo di quasi mille pagine, si mette le mani tra i capelli. E non per il suo contenuto, ma per la lunghezza e per lo stile. È robaccia di quart’ordine, auto celebrativa, un ritratto melenso privo di ogni interesse per un lettore. Rinchiuso in una villa ossessivamente al centro di infinite finestre piazzate strategicamente in modo da impedire la divisione tra uno spazio interno da quello esterno, annullando i confini, il lavoro stesso finisce per essere esposto all’occhio insensibile delle telecamere della CNN che volteggiano minacciose a bordo degli elicotteri in cielo. Lo scrittore si ritrova così sospeso tra due dimensioni che si moltiplicano all’infinito, come al centro di due specchi che rimandano una l’immagine dell’altro. Da una parte la fedeltà alla causa letteraria, dall’altra scoprire l’assassino di chi lo ha preceduto fallendo nell’impresa e stanare i misfatti del potere. Quando comprenderà che risolvere un enigma significa risolvere anche l’altro, troverà la salvezza.
C’è completa aderenza tra il punto di vista del protagonista smarrito nelle scatole cinesi dove ogni cosa invece che avere un suo posto, ha un suo doppio e quello dello spettatore. Travolti da un enigma invisibile all’altro, rimaniamo incastrati a contemplare l’ultimo capolavoro di Polanski. Un capolavoro che non esige nessun tipo di lettura, nessun lavoro di scavo, perché tutto è in superficie, tutto agisce e si dipana davanti ai nostri occhi. La risoluzione dell’enigma non è in una qualche interpretazione aberrante, non c’è inganno, ma tutto è scritto nell’inizio, anzi negli inizi come scopriremo con un meraviglioso colpo di scena finale. Ma anche qui cadiamo nell’errore, perché la pellicola procede senza colpi di scena, compatta, inesauribile, come un perfetto ed inquietante meccanismo ad orologeria alla Hitchcock grazie ad un’intelaiatura come raramente si vedevano al cinema da molti anni a questa parte. E troviamo echi con le altre opere più psicotiche degli anni sessanta e settanta, da Cul de Sac a Repulsion, da Che? a L’inquilino del terzo piano. Rispetto a quelle tra l’altro Polanski decide di lavorare meno sugli effetti a sorpresa e di più nell’identità tra la forma del giallo e quella della denuncia politica, evitando così il rischio del virtuosismo che avrebbe potuto levare forza morale al messaggio che voleva trasmettere. [matteo cafiero]