Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
id.
Regia
Isotta Toso
Sceneggiatura
Maura Vespini, Isotta Toso,
Andrea Cotti
Fotografia
Fabio Zamarion
Montaggio
Patrizio Marone
Scenografia
Anna Forletta
Costumi
Eva Coen
Musica
Gabriele Coen, Mario Rivera
Interpreti
Kasia Smutniak, Daniele Liotti, Serra Yilmaz, Ahmed Hafiene, Marco Rossetti, Milena Vukotic,
Kesia Elwin, Luigi Diberti, Roberto Citran Ninetto Davoli, Francesco Pannofino
Produzione
Emme, Rai Cinema
Anno
2010
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Durata
96'
Distribuzione
Bolero Film
Uscita
14-05-2010
Giudizio
Media

Roma. La Piazza Vittorio del titolo è il cuore dell’Esquilino, storico quartiere romano, residenza borghese della burocrazia di fine Ottocento. Circondato dalla Roma più turistica e mondana, la sua vicinanza alla stazione centrale ne ha fatto negli anni, come in tutte le metropoli del mondo, un variegato luogo di approdo e stratificazione etnica e culturale. In un vecchio palazzo umbertino si snodano le vicende di un eterogeneo gruppo di inquilini, una piccola “folla multietnica” segnata da forti differenze culturali, di provenienza, di religione, di modi di intendere la vita.
Nell’ambiente chiuso del palazzo e del condominio si consuma lo “scontro di civiltà” in cui tali differenze emergono prepotentemente nel quotidiano e diventano malintesi, piccole prevaricazioni, diffidenze. Le storie dei personaggi seguono i propri percorsi, incrociandosi l’un l’altra in ragione di una condivisione forzata dello spazio, del quartiere, del palazzo e del suo ascensore, puntualmente all’origine di tante dispute condominiali.
Ognuno di questi personaggi esprime la sua solitudine, il suo male di vivere, offrendo uno spaccato, della sua esperienza di vita, le sue riflessioni e i suoi sentimenti. Chi cerca l’ispirazione per una fotografia, chi il cane improvvisamente smarrito, chi convive con le proprie rinunce, chi con la malavita locale, chi con le ruggini burocratiche a cui devono sottostare gli extracomunitari. Una morte improvvisa rompe il già instabile equilibrio condominiale.
Tutti possono essere potenziali assassini e tutti si trovano a incolparsi l’un l’altro. Saranno loro, tutti insieme, allontanando per un momento ogni contrasto, a svelare al commissario il nome dell’assassino, al posto di quell’unico testimone che però non può parlare: l’ascensore.

NOTE DI REGIA: Isotta Toso
Quando ho letto per la prima volta il romanzo di Amara Lakhous, ho sentito di aver trovato la matrice attorno alla quale costruire un racconto cinematografico che cercasse di indagare e di interpretare uno degli aspetti più laceranti e conflittuali della nostra epoca: il temuto, discusso, negato o invocato scontro di civiltà che, punteggiando d’incognite il nostro presente e il nostro futuro, infiamma il dibattito politico, sociale, culturale e religioso dei nostri giorni.
Questo tema è sviluppato nel romanzo di Lakhous attraverso la piccola folla multietnica che anima le vicende di uno stabile a piazza Vittorio, nel cuore del più multiculturale dei quartieri di Roma: l’Esquilino. La voce dei vari inquilini, italiani e stranieri, costruisce un mosaico dei singoli drammi esistenziali e dei molteplici equivoci quotidiani della convivenza. Nell’universo chiuso del condominio dove, nell’illusione della proprietà, si invocano diritti, si concepiscono malintesi e malanimi, si consumano dispetti tragici e ridicoli, i protagonisti svelano frammenti di vita intrecciati attorno all’ascensore, spazio comune perenne motivo di liti condominiali. S’incontrano e si scontrano, ciascuno con i propri tic e pregiudizi, come in una commedia all’italiana, in cui il sorriso è provocato dalla riflessione. Emergono simmetriche paure e diffidenze, alimentate dall’ignoranza, dall’indifferenza, dall’isolamento auto-inflitto o subito, e raccontano come l’identità possa definirsi e darsi una ragione solo rispetto all’alterità.
Lo scontro di civiltà è la ricerca e l’affermazione di un’identità necessaria e ambita da ciascuno dei personaggi, nel caos dello sradicamento dalle proprie origini, sia esso il frutto drammatico della necessità, come per gli immigrati o del sentimento, spesso altrettanto drammatico di invasione, come per gli italiani. Ricerca che si aggrappa alle manifestazioni collettive più profonde come il linguaggio, la religione, o a quelle solo apparentemente più superficiali come la cucina o l’aspetto. Ricerca che non mette in opposizione soltanto italiani e stranieri, o etnie diverse, ma che riguarda gli stessi italiani, divisi a loro volta da differenze regionalistiche, di classe, di appartenenza. In questa ricerca, ciascuno dei personaggi finisce, per contro, a esprimere con prepotenza la propria singolarità e su di essa si insiste per presentare un universo di posizioni dove il bene e il male, il positivo e il negativo non hanno appartenenza etnica, ma sono insiti nella dimensione individuale, nella storia particolare di ciascuno.
Tutti questi aspetti sono prioritari nel romanzo, mentre la prospettiva giallistica è solo sullo sfondo e non appare determinante, anzi quasi pretestuosa, come afferma lo stesso Lakhous, che ha dichiarato di aver scelto la cornice del noir perchè questo è il genere narrativo che meglio si adatta alla nostra epoca, che è l’epoca dell’urgenza e della sovraesposizione dell’informazione, nella quale si riesce a ricevere un pò d’attenzione solo quando “ci scappa il morto”. Nel tentativo individuale di capire chi ha ucciso il Gladiatore, i personaggi raccontano se stessi. Ma questo intento, che è raggiunto nel libro attraverso testimonianze successive, che non sono altro che dei monologhi interiori, non è supportato da un vero e proprio intreccio.
Il film, quindi, si basa sulla volontà di galvanizzare la ricchezza dei personaggi e dei temi sviluppati nel romanzo attraverso un impianto narrativo che, pur discostandosi dalla trama originale, approfondisce le relazioni tra i caratteri ed esalta le potenzialità drammaturgiche e spettacolari dell’ambientazione cercando di non tradire la forza istantanea dei singoli ritratti colti da Lakhous.