London River
id.
Regia
Rachid Bouchareb
Sceneggiatura
Rachid Bouchareb, Zoé Galeron, Olivier Lorelle
Fotografia
Jérôme Alméras
Montaggio
Yannick Kergoat
Scenografia
Jean-Marc Tran
Costumi
Karine Serrano
Musica
Armand Amar
Interpreti
Brenda Blethyn, Sotigui Kouyaté , Francis Magee, Sami Bouajila, Roschdy Zem, Marc Baylis
Produzione
Arte France, The 3B Productions Bureau, CNC, France 3,
L'Acsé, Région Provence Côte d'Azur, Tessalit Productions
Anno
2009
Nazione
UK, Francia, Algeria
Genere
drammatico
Durata
87'
Distribuzione
Bim Distribuzione
Uscita
27-08-2010
Giudizio
Media

Il 7 luglio 2005 una serie di attentati sui mezzi pubblici londinesi seminò il terrore, ma soprattutto minò gli ideali di un’Europa sicura e multietnica che proprio la capitale britannica rappresentava. I due protagonisti di questo film si incontrano all’indomani di questo brusco risveglio per cercare i propri figli in una Londra sporca e rumorosa, fatta di ospedali, moschee e negozi etnici. I due non potrebbero essere più lontani: lui (Sotigui Kouyaté ) africano e residente in Francia, lei (Brenda Blethyn) dedita alla vita bucolica in uno sperduto isolotto, entrambi lontani dal mondo metropolitano come da quello dei loro figli. Gli eventi, le ansie, le illusioni e i dolori faranno breccia nelle rispettive diffidenze avvicinandoli profondamente.
Il regista franco-algerino Rachid Bouchareb, reduce dalle polemiche dell’ultimo festival di Cannes per il controverso “Hors la loi” sul terrorismo algerino (che è successivo a questo), è attento da sempre ai processi che stanno dietro agli incontri/scontri tra culture diverse. Se nelle altre opere ha prevalso l’interesse per le ragioni storiche o sociologiche, al centro di questo film, dal basso budget e girato in pochi giorni, ci sono soltanto i sentimenti umani, comuni e indistinti a qualsiasi latitudine. Il racconto dei fatti è lasciato in sottofondo e scandito dalle immagini di repertorio dei notiziari dell’epoca. La macchina da presa indugia invece spesso sui primi piani dei due azzeccatissimi protagonisti, mai banali e sempre misurati anche quando il pathos potrebbe avere la meglio. Se collocare Brenda Blethyn in una storia tutta londinese dopo l’incanto di “Segreti e bugie” è una scelta riuscita ma quasi ovvia, il gigantesco e silente Sotigui Kouyaté è una bellissima sorpresa che ha conquistato anche la giuria del Festival di Berlino, garantendogli l’Orso d’Argento per la migliore interpretazione.
Il tallone d’Achille del film sta forse nei personaggi di contorno che man mano entrano nella storia, tutti forzatamente non inglesi e tutti più o meno integrati e gentili. I pregiudizi e le paure della vecchia Elizabeth di fronte a questa cornice stabiliscono una dinamica buoni-cattiva un po’ semplicistica e non coerente con lo stato delle cose nel film stesso.
A Bouchareb va però dato atto che la componente umana prende il sopravvento in maniera spontanea e naturale, mettendo in sordina eventuali pregiudiziali ideologiche e coinvolgendo lo spettatore senza mai eccedere. Così se all’inizio l’attenzione è rivolta alla signora inglese che non conosce e diffida dell’immigrato, alla fine la luce si sposta sul rapporto genitore-figlio, in cui le ombre aumentano quanto più si scava e dove, contrariamente alla situazione precedente, ci si accorge di ignorare ciò che si pensava di conoscere. Invertendo una volta tanto un clichè del cinema e della letteratura, saranno finalmente i giovani a dare una lezione di civiltà e amore agli anziani.
Affrontare un tema così importante come le stragi di Al Qaeda in Europa (tanto imponente che la filmografia al riguardo è tutt’altro che cospicua) con un approccio minimalista e realista risulta perciò la carta vincente del film e la Londra di Bouchareb è assai vicina a quella di Leigh e di Loach, laddove piccoli personaggi e storie semplici hanno già saputo raccontare grandi verità. [emiliano duroni]