Il castello nel cielo
Tenkû no shiro Rapyuta

Anno 1986

Nazione Giappone

Genere animazione

Durata 124'

Uscita 25/04/2012

distribuzione
Lucky Red

Regia
Hayao Miyazaki
Sceneggiatura
Hayao Miyazaki
Fotografia
Hirokata Takahashi
Montaggio
Takeshi Seyama
Musica
Joe Hisaishi
Produzione
Studio Ghibli

 

In una notte stellata, un piccolo minatore vede un punto luminoso che magicamente si avvicina facendosi sempre più grande; quello che sembra essere una stella caduta troppo in basso, è in realtà una ragazzina dormiente che scende dal cielo cullata in un fascio di luce. Con questo biglietto da visita poetico e meravigliosamente tratteggiato, il più acclamato maestro dell'”anime” inventa l'incontro tra i due caratteri che per oltre due ore occuperanno la scena di questa storia uscita in Giappone nel lontano 1986 e ora finalmente proposta anche in Occidente.
La bambina scesa dal cielo è un'orfana di nome Sheeta, ed è in realtà appena sfuggita ad un tentativo di rapimento da parte di una sgangherata famiglia di pirati dell'aria, che tentava di strapparla alla custodia dell'esercito. Dopo essersi lanciata nel vuoto si è salvata perchè la pietra che porta al collo, l'”aeropietra”, le permette di vincere la forza di gravità sprigionando la luce di cui sopra. Con l'aiuto del piccolo minatore Pazu, intraprenderà la fuga dall'esercito e dai pirati, ma soprattutto cercherà di ritrovare la sua antica dimora, la città di Laputa, che si dice sorga nel cielo oltre le nuvole e che è al centro delle mire di molti malvagi, perchè un tempo potentissima, ma ora disabitata e colma dei tesori appartenuti ai vecchi regnanti.
Al contrario dei titoli più celebri che hanno contribuito allo sdoganamento di Miyazaki, questa fantastica fiaba animata punta molto sull'intreccio e la narrazione e meno del solito sugli excursus poetici. La buona notizia (e anche il mistero di più di tre decenni di oscuramento) sta nel fatto che il tocco del Maestro non ne risente per nulla e anzi trova modo di esprimersi attraverso una tecnica d'animazione eccezionale (il film è disegnato interamente a mano e in gran parte dallo stesso Miyazaki) e una fantasia visionaria fuori da ogni canone. La città che dà il titolo al film è un esplicito riferimento ai “Viaggi di Gulliver” di Swift, ma c'è anche tanto Jules Verne, Asimov (nel robot che come il più umano dei samurai si sacrifica per la sua padrona) e un occhio a tanta illustrazione di fantascienza da Ron Cobb in poi (le forme dei velivoli sono innumerevoli e sempre sorprendenti).
Non è un caso che i nomi appena citati siano tutti occidentali, perchè l'amalgama inconfondibile di Miyazaki ha evidentemente tenuto un occhio ben aperto sul nostro Mondo, senza per questo perdere i suoi tratti distintivi. Restano dunque i temi dominanti della sua opera, nel culto dell'aria (tutti volano o provano a volare, anche lo spettacolare inseguimento in treno si svolge nel vuoto, restando sempre coi piedi per terra si muore o si appassisce), nella dedizione e nella fragilità solo apparente dei protagonisti (entrambi senza reali legami familiari, eppure mossi dal bisogno di compiere e tenere in vita quanto era stato iniziato dai loro padri), nel sostanziale pessimismo sull'umanità che permea il finale del film e l'idea stessa di Laputa (una città che per conservare la propria regale dignità deve autoesiliarsi lontano dalle violenze e dalla follia distruttiva degli uomini).
Una volta tanto viene voglia di dire grazie agli Oscar e ai Festival di mezzo mondo che hanno incensato questo autore perfezionista all'eccesso, sollecitandone la riscoperta del catalogo passato. Siamo lontani anni luce dall'animazione fragorosa e un po' grossolana che oggi accalappia tanti piccoli spettatori. In questo mondo senza tempo (l'ambientazione è di fine '800, il film potrebbe essere stato prodotto cinquanta anni fa come oggi) ci sono robot solitari che portano fiori sulle tombe dei loro caduti e si esprimono con semplici modulazioni elettroniche e se si guarda bene verso il cielo, si possono vedere alberi giganti con radici sulle nuvole. Cari bambini, potrebbe essere giunto il momento di aprire davvero i vostri occhi.
[emiliano duroni]