BASHIR GEMAYEL, ARIEL SHARON E IL MASSACRO DI SABRA E SHATILA

Nel giugno del 1982 l’esercito israeliano invadeva il sud del Libano dopo che, per anni, dal territorio libanese erano state lanciate bombe sulle città del nord d’Israele.

Il piano originario del governo israeliano era quello di occupare una fascia di sicurezza in Libano larga 40 km. per “ripulire” una zona corrispondente all’area usata dai palestinesi per sparare missili contro le città del nord d’Israele.

Il ministro della difesa israeliano dell’epoca, Ariel Sharon, aveva sviluppato un inverosimile piano ultra-ambizioso: occupare il Libano fino a Beirut, inclusa Beirut, e far nominare presidente del Libano il suo alleato cristiano, Bashir Gemayel. L’obiettivo era quello di sdradicare la minaccia allo Stato di Israele dal nord ed espandere il fronte anti siriano. Sharon e i capi militari superiori erano effettivamente gli unici a conoscenza del piano. Mentre il governo israeliano aveva approvato esclusivamente un’operazione relativa all’occupazione di 40 km di territorio, le IDF (Forze di difesa israeliane) si spingevano oltre a tutta velocità in direzione di Beirut.

Nell’agosto del 1982 le IDF erano ferme alla periferia di Beirut nell’attesa dell’ordine di penetrare nella capitale. Intanto era stato sottoscritto un trattato che permetteva a tutti i combattenti palestinesi di essere evacuati da Beirut su navi dirette in Tunisia. In cambio le IDF avrebbero smesso di minacciare di penetrare all’interno della città. Quella stessa settimana, Bashir Gemayel, comandante in capo della milizia cristiana “falangista”, veniva eletto presidente del Libano. Gemayel era considerato come un uomo dotato di immenso carisma, un affascinante giovane uomo, bello e immensamente ammirato da tutti i miliziani cristiani e dalle loro famiglie, così come dai leader israeliani.

Mentre faceva un discorso al quartier generale dei falangisti a Beirut est, Bashir Gemayel veniva ucciso con una forte carica di esplosivo. Il responsabile dell’omicidio è ancora sconosciuto. Quel pomeriggio, le truppe israeliane penetravano in un’area di Beirut ovest abitata in quel periodo prevalentemente da rifugiati palestinesi, e circondavano i campi profughi di Sabra e Shatila. Verso sera, consistenti forze falangiste si dirigevano in quella zona, spinte da un forte desiderio di vendetta per la morte del loro venerato Bashir Gemayel. Al calare della notte le forze falangiste entravano nei campi profughi di Sabra e Shatila aiutati dai fari per l’illuminazione delle IDF. L’obiettivo dichiarato delle forze cristiane era quello di ripulire i campi dai combattenti palestinesi. Ma virtualmente non c’erano combattenti palestinesi rimasti nei campi profughi, visto che erano stati tutti imbarcati su navi dirette in Tunisia due settimane prima. Per due giorni interi si sentì provenire dai campi il suono di spari e combattimenti, ma fu solo il terzo giorno, il 16 settembre, quando donne terrorizzate si riversarono fuori dai campi tra le truppe israeliane, che la situazione si fece chiara: per tre giorni le forze cristiane avevano massacrato gli occupanti del campo profughi. Uomini, donne, anziani e bambini, erano stati uccisi con terribile crudeltà. Ad oggi resta sconosciuto il numero esatto delle vittime che tuttavia è stimato in 3.000 persone.

La notizia del massacro scioccò il mondo intero e una protesta spontanea di centinaia di migliaia di israeliani costrinse il governo ad istituire una commissione d’inchiesta per indagare sulle responsabilità delle autorità politiche e militari di Israele. Il ministro della difesa Ariel Sharon venne riconosciuto colpevole dalla commissione per non aver fatto abbastanza per fermare l’orrore una volta venuto a conoscenza del massacro in atto. Venne costretto a dare le dimissioni e interdetto dalla carica di ministro della difesa per un dato periodo di tempo.

Questo non gli ha impedito di essere eletto venti anni dopo primo ministro dello Stato d’Israele.

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