Uomini sull'orlo di una crisi di nervi 2
Autore: Galli & Caponi Traduzione:
Regia: Marco Simeoli
Scene: Costumi:
Luci: Musica:
Produzione:
Interpreti: Sebastiano Colla, Rosario Galli, Franco Lo Cascio, Luigi Russo e Francesca Ceci
Anno di produzione: 2010 Genere: commedia
In scena: in turnè

Siamo davvero sicuri che questi uomini siano sull’orlo di una crisi di nervi? Sarà la stanchezza propria del sequel a non rendere credibile il titolo dello spettacolo “Uomini sull'orlo di una crisi di nervi 2”? Prendete quattro uomini, presumibilmente lasciati dalle mogli (o che forse hanno fatto di tutto per farsi abbandonare per le solite corna), un tavolo da gioco, pigiami improbabili e panni stesi dappertutto. Aggiungete una dottoressa gnocca t&c (tette e culo, ndr) in calze a rete e lingerie leopardata, che piomba nell’appartamento per diagnosticare a ciascuno di loro una malattia grave. E il gioco è fatto. Tutto qui?

È noto che la realtà del mondo maschile è piatta come il ventre di una sogliola, ma è necessario porgere una preghiera agli autori Galli&Capone: è davvero impossibile trovare, almeno nella fantasia, delle rappresentazioni più originali degli uomini di oggi? È così complicato andare oltre lo stereotipo del maschio italiano piagnone, che si lamenta della moglie sanguisuga che si tiene i figli e denaro? Sarà poi vero che questi uomini sono talmente passivi e sottomessi, da subire tutto?

A ben vedere i quattro “dell’Apocalisse”, ovvero Pino la casalinga tuttofare, Ciccio l’uomo-zerbino panzone, Nicola il latin lover nullafacente e Gianni l’eterno fuggente, parrebbero essere inseriti nel loro habitat naturale: bambini che non si vogliono lavare, vogliono giocare e guardano l’insegnante “bbona” dal buco della serratura. In “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi 2” il ritmo c’è, la regia è semplice ma di sicuro effetto. Gli attori sono credibili, ma la loro recitazione è più televisiva che teatrale: quasi domestica, come se il pubblico fosse lì a spiarli dalla telecamera del “Grande Fratello”. Francesca Ceci, la dottoressa Livia Soda, complice la scrittura del testo, non riesce a far uscire il suo personaggio dall’ambiguo cliquet donna intelligente/oggetto. Non dimostra le sue capacità interpretative, al di là dei facili ammiccamenti. Usare il corpo come strumento della recitazione e non come oggetto da esibire è una vera sfida, ma il risultato dura nel tempo. Nel complesso lo spettacolo è facile, standardizzato, senza tensione. Quindi banale. [deborah ferrucci]