Un tram che si chiama desiderio


Anno
2011

Genere
drammatico

In scena
fino all'11 marzo
Teatro Argentina | Roma

Autore
Tennessee Williams
Adattamento/Traduzione
Masolina D'Amico
Regia
Antonio Latella
Scene
Annelisa Zaccheria
Costumi
Fabio Sonnino
Luci
Robert John Resteghini
Interpreti
Laura Marinoni,
Vinicio Marchioni, Elisabetta Valgoi,
Giuseppe Lanino,
Annibale Pavone,
Rosario Tedesco
Produzione
Emilia Romagna
Teatro Fondazione,
Teatro Stabile Catania

 

Scenografia a sipario aperto e luci in platea sino alla fine dei due atti. Spettacolo lungo, urlato, angosciato ed angosciante: Antonio Latella firma “Un tram che si chiama Desiderio” molto lontano dalla versione cinematografica di Elia Kazan che si è soliti ricordare.

La storia è nota: la vita di una coppia di New Orleans, Stella Du Bois (Elisabetta Valgoi) e Stanley (Vinicio Marchioni), è turbata dall’arrivo di Blanche Du Bois, la sorella alcolizzata e ninfomane di Stella. Gli equilibri vengono sfasciati, sino al precipitare degli eventi, che portano l’ormai poco desiderata ospite alla follia e al ricovero.
Latella, senza cambiare una sola battuta, stravolge il testo di Williams partendo dal finale, quando Blanche entra nell’ospedale psichiatrico. In un attimo trascina lo spettatore nei meandri della psiche della donna, una strepitosa Laura Marinoni, affascinante e sofferta, preda dei fantasmi di gioventù e della sua personale realtà.

I protagonisti riescono a dare un’impronta personalissima e riuscita ai ruoli che furono sul grande schermo di Vivien Leigh e Marlon Brando. Bravissimo Marchioni, che mai tenta di imitare il suo illustre predecessore. Il suo Stanley è più animalesco che carnale, la sensualità è tutta corporea, senza chiaroscuri o ombre da bello e maledetto, spavaldo e un po’ cialtrone con un vago accento polacco. Sopra le righe, sempre sovraeccitata la Stella di Elisabetta Valgoi, che si placa e normalizza solo con l’approssimarsi del finale.

Si esce dai labirinti mentali, creati dal regista, storditi e insieme appagati dall’universalità tragica della femmina che si vede sfiorire, costretta a inventarsi un proprio mondo, per superare il conflitto tra una sessualità aggressiva e la necessità non sopita di tenerezza. Non c’è nulla di tenero nel suo dramma, rappresentato all’interno di una messa in scena (di Annelisa Zaccheria) che diventa essa stessa drammaturgia, dove tutto è portato al suo scheletro e gli oggetti perdono la loro funzione: un frigorifero non è più solo un frigorifero, una sedia non serve per sedere ma per appoggiare uno dei proiettori, sempre lasciati bene in vista. La realtà è di continuo trasfigurata dalla lettura che ne dà la mente di Blanche.

Malgrado le quasi tre ore, malgrado il fracasso, malgrado la violenza della perenne tensione erotica tra i corpi in scena, a spettacolo finito se ne vorrebbe ancora. Forse per masochismo; o forse, semplicemente, per il piacere di un teatro che sa ancora svolgere il suo potere catartico.
[francesca romana buffetti]