Filumena Marturano
Autore: Eduardo De Filippo
Regia: Gloria Paris
Scene: Cristina Gaetano
Luci: Pascal Sautelet
Musica: ------------------------
Produzione: Atelier Théâtre Actuel - Chant V, con il sostegno di Nuovi Mecenati
Interpreti: Marie Ballet, Pierre Barrat, Bruno Fleury, Christine Gagnieux, Kamel Isker, Evelyne Istria, Alain Libolt, Cécile Pericone, Stephen Szekely, Daniel Tarrare, Anne-Laure Tondu
Anno di produzione: ----- Genere: commedia
In scena: in turnè
Dopo più di diciannove anni trascorsi in Francia, Gloria Paris torna in Italia. Dopo “aver preso le distanze” dalle proprie origini si trova a riscoprirsi sul palcoscenico del Valle di Roma nella sua voce più autentica e celata di donna, anzi di tutte le donne che è stata finora. Quelle che l’hanno fatta fuggire. Quelle che porta ancora con sé, suo malgrado. Quelle che oggi trovano una forma compiuta in “Filumena Maturano”, una delle opere e “creature” più care di Edoardo De Filippo in fondo mai realmente tradita dalla traduzione dello scrittore Fabrice Melquiot che riesce a conservare del testo l’originale forza e malinconia, tristezza ed riso.
In una lingua aspra, concisa, incisiva, tutta legata all’interpretazione dell’attore - in una tensione emotiva continua solo a tratti spezzata dal vento della commedia - si gioca la partita più importante dell’amore: quella della verità. Sono gli attori – e prima fra tutti è Christine Gagnieux - a rendere universale Eduardo oltre il francese, che finisce per farsi comprendere senza parole, nel semplice e insieme irruente disvelarsi di un suono, di un sentimento. I protagonisti sono capaci di arricchire i personaggi grazie alla loro personalità forte, con un’interpretazione che riesce a superare ciò che è scritto, portandosi dietro un pezzo di storia del teatro francese.
La messa in scena si affida a pochi ma fortemente connotativi elementi, in grado di creare con la loro essenzialità il ventre – proprio come quello di una madre - in cui confinare e proteggere i conflitti familiari più segreti, il bisogno di appartenenza, la ricerca di una paternità necessaria, nel tentativo coraggioso e tutto materno di ricucire le fratture. Il palcoscenico diventa un quadro, l’occhio fisso di un interno borghese napoletano anni Cinquanta “guardato alla lente d’ingrandimento” che rileva con minuzia l’ingranaggio di una vita di coppia. A prevalere non è, dunque, uno spazio preciso, definito in quanto tale, piuttosto la sua idea, il suo concetto pronto ad aderire alla realtà e subito dopo sfuggirne come fanno i protagonisti. E così, mentre le pareti si dissolvono, i muri si aprono a Napoli, testimone e giudice silenziosa di tutta l’azione. Le tavole del palco diventano, così, un’arena in cui si sbrana la carne dei giorni, in un susseguirsi di confessioni calibrate sulla ricerca dichiarata di teatralità nei gesti, nei movimenti, nel bianco e nero del sentire. Sempre nitido, sempre chiaro. [s. pisu]