Eros e Priapo
Autore: Carlo Emilio Gadda Adattamento:
Regia: Adriana Martino
Scene: Anna Aglietto
Luci: Musica: Benedetto Ghiglia
Compagnia: L’Albero Teatro Canzone Produzione:
Interpreti: Valentina Martino Ghiglia
Anno di produzione: 2010 Genere: monologo satirico

In scena: fino al 6 febbraio 2011 all'Atelier Meta-Teatro di Roma

Quando la storia compie il suo giro e torna a fare ombra al presente sotto forma di farsa rileggere e soprattutto, riascoltare la rabbiosa e immaginifica invettiva che Carlo Emilio Gadda rovesciò sul fascismo pochi mesi dopo la liberazione di Firenze, fornisce una chiave di lettura psicoanalitica dei mali italici, tanto ruvida quanto sottile. Più che Eros, dio dell’amore e dell’armonia, l’esplicito protagonista del saggio gaddiano è Priapo, divinità dell’istinto sessuale maschile che si incarna nell’esaltazione della fallocrazia e del machismo, caratteristiche proprie del fascismo e del personaggio Mussolini. In questo libello, come in ogni opera dell’ingegnere, è il linguaggio a fare la differenza; un fiume in piena, di termini mutuati dal fiorentino di matrice duecentesca (anche se non mancano riferimenti a Machiavelli).

Nella rielaborazione di "Eros e Priapo" (firmata da Adriana Martino), è una clochard, un fantasma dei bassifondi (interpretato con bravura da Valentina Martino Ghiglia), a scagliare su quello che fu il “kuce” degli italiani una furia polemica che si autoalimenta senza pause, fino ad investire frontalmente anche le folle femminili, inneggianti al fascismo e da esso sessualmente soggiogate. L’essere narrante fa il suo ingresso in scena fuoriuscendo da un lurido giaciglio di cartone, parte integrante di una scenografia che sembra rappresentare sia un ambiente urbano devastato dai bombardamenti, che la periferia desolata di una qualunque metropoli del XXI secolo.

Da segnalare la prova della Martino Ghiglia che, accompagnata alla batteria da Andrea Nicolè, riesce a tenere in piedi per un’ora un monologo furioso e ricco di asperità linguistiche. L’illuminazione, tendente al rosso e al verde per tutta la durata dello spettacolo, a tratti appare cupa e soffocante come gli eterni clichè del machismo, caratteristica fondamentale di un fascismo che, come dimostra il presente, l’Italia aveva semplicemente rimosso. [valerio refat]

| edizione 2010 |