Delitto e castigo
Autore: Fëdor Dostoevskij Adattamento: Francesco Giuffrè e Riccardo Scarafoni
Regia: Francesco Giuffrè
Scene: ---------------------- Costumi: ---------------
Luci: ----------------------- Musica: Gianluca Attanasio
Produzione: EffeGiDi
Interpreti: Livia Alcalde, Alfredo Angelici, Massimiliano Benvenuto, Massimiliano Mecca, Marta Nuti
Anno di produzione: 2010 Genere: dramma

In scena: fino al 25 aprile al Teatro Argot Studio |

Con “Delitto & Castigo” Francesco Giuffrè analizza le parti più profonde dell’animo umano. Nell’ombra perenne della scena, gli attori sono disposti lungo i tre lati del palco e, sulle loro teste, i nomi dei personaggi, quasi fossero degli epitaffi. Al centro il protagonista Raskolnikov, punto di congiunzione di un dramma sviluppato in modo corale. Se non fosse per la collocazione sul palco, di certo non ci si accorgerebbe della sua importanza o del suo peso nell’evoluzione della storia. Il regista mette a punto uno spettacolo che si stacca dalla centralità del protagonista, quasi a prenderne le distanze per raccontare di lui attraverso i personaggi secondari. Alfredo Angelici è di conseguenza, un Raskolnikov dimesso, quasi inesistente, una maschera immobile e scarsamente comunicativa. Il delitto compiuto, ovvero l’omicidio della vecchia usuraia, è il culmine di un climax al quale concorrono tutti i personaggi: da Sonja Marmeladovna costretta a prostituirsi per mantenere fratelli e padre ubriacone, a Dunja, sorella di Raskolnilkov, che prima accetta e poi rifugge il matrimonio di convenienza con Luzin. A dominare la scena, sullo sfondo, una croce in legno di volta in volta venerata, deprecata o, all’occorrenza, spinta in un andirivieni a ricordare i rintocchi di una pendola.
I personaggi si muovono su due piani, orizzontalmente e verticalmente, a seconda che i rapporti siano di uguaglianza o di disparità. Nessuno degli attori riesce ad emergere: vengono messe da parte le personalità in favore di una coralità che, però, non dà allo spettacolo quella compattezza e quel collante che una storia del genere necessita. Giuffrè connota, infatti, lo spettacolo di una pesantezza che allontana bruscamente dalla leggera poesia del testo di Dostoevskij. Le atmosfere cupe raccontate dallo scrittore russo, sono distanti da questa messinscena che risulta, invece, confusa e poco evocativa.
[patrizia vitrugno]