Avevo un bel pallone rosso
Autore: Angela Dematté Traduzione:
Regia: Carmelo Rifici
Scene: Guido Buganza Costumi: Margherita Baldoni
Luci: Lorenzo Carlucci Musica:
Produzione: Teatro Stabile Bolzano
Interpreti: Andrea Castelli, Angela Dematté
Anno di produzione: 2010 Genere: drammatico
In scena: al teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma fino al 16 gennaio 2011

La leggera curiosità di una bimba, le risposte di un padre. Una filastrocca che apre la scena. “Avevo un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia e la delizia mia. S’è rotto il filo e m’è scappato via, in alto, in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni, volan tutti lassù quei bei palloni”. Margherita bambina l’ha scritta su un quaderno; la stessa Margherita diventerà per tutti Mara Cagol. Angela Demattè scrive un testo (vincitore del Premio Riccione per il Teatro 2009) intenso, pervaso da una sottile vena malinconica, emozionante nella sua cruda realtà. Documenta il decennio che va dal 1965 al 1975: da studentessa in Sociologia a fondatrice delle Brigate Rosse assieme al marito Renato Curcio, la sua vita descrive un’epoca di rivoluzione. In dieci anni da figlia diventa estranea.

Nei dialoghi con il padre c’è tutta la tragica dissoluzione della comunicazione, del rapporto padre-figlia che diventa sempre più velocemente un rapporto tra sconosciuti. Angela Demattè interpreta Margherita/Mara, più convincente nel ruolo di figlia che in quello di brigatista: nel suo recitare in trentino c’è l’entusiasmo giovanile delle idee, l’ambizione di una figlia che cresce davanti agli occhi preoccupati di un padre; da donna la Demattè è troppo caricaturale, scandisce con eccessiva forza il suo nuovo ruolo, risulta “cattiva” come se “cattiveria” fosse sinonimo di “terrorista”. Andrea Castelli è il padre: affannato nel trovare risposte, dedito al lavoro perché consacrato alla famiglia, impotente di fronte a un pensiero irraggiungibile, devastato da un amore genitoriale non compreso perché non comunicato e svuotato nei silenzi sempre più lunghi. Un’interpretazione che coinvolge, mai stucchevole sempre generosa.

La fine della Cagon arriva da un annuncio in televisione: la storia di Mara si chiude, ma gli anni di piombo nella storia del nostro paese sono una ferita ancora aperta. Nella regia di Carmelo Rifici si legge una voluta semplicità che si esprime nel tono sommesso dei dialoghi. Due voci che parlano di un’umanità straziante e straziata, di vite spezzate, di sogni, di utopie. Di un bel pallone rosso.
[patrizia vitrugno]