L'attuatore
Autore: Sandro Mabellini
Regia: Sandro Mabellini
Costumi:
Luci: Musica:
Produzione:
Compagnia:

Interpreti: Giuseppe Amato, Fabrizio Martorelli, Alessandro Rugnone, Rosa Sarti

Anno di produzione: 2011 Genere: drammatico
In scena: fino all'8 maggio 2011 al teatro Colosseo di Roma

Lo spettatore è ancora in grado di indignarsi di fronte a qualcosa di orrendo? Qual è il confine tra la finzione e la realtà? In che modo il pubblico partecipa ad uno spettacolo teatrale? “L'attuatore” è uno spettacolo che sperimenta delle risposte, in cui l’effetto casuale si confonde con l’effetto voluto. Il pubblico è chiamato ad intervenire, Aristotele è stato il primo a dirlo, parlando della catarsi dello spettatore. Qui il coinvolgimento è diretto, sul palco, insieme agli attori. Forse si tratta di una provocazione, o magari dell'ennesimo effetto speciale proposto dall’autore teatrale. Il dubbio è lecito, ma alla fine non è poi così importante.

Quattro attori recitano dei monologhi. Rosa Sarti è Caterina, una donna violentata dal padre (toccante quando racconta a monosillabi la violenza subita, nonostante una fisicità quasi angelica la ostacoli a rendere il ruolo di una ragazza di borgata); Giuseppe Amato interpreta il fruitore entusiasta del teatro, che vede il bene ovunque (quando si lascia andare il personaggio acquista forza); Fabrizio Martorelli è il regista che con distacco intellettuale e cinismo racconta il suo rapporto con l’opera creata e con la vita (strana somiglianza con l’artista De Dominicis e l’ambiente della Galleria l’Attico di Roma degli anni ‘70: tra l'hippy e il morettiano. Il più convincente di tutti); Alessandro Rugnone, infine, è l’attore che racconta le gioie e le difficoltà del suo essere attore (sopra le righe, convince più con lo sguardo che con le parole).

Sembra tutto casuale, ma a teatro nulla lo è. E infatti lo spettatore, senza accorgersene, dà conto della sua presenza, diventa responsabile di ciò che accade sul palcoscenico. Non importa che gli attori all’inizio siano freddi, o a volte poco credibili. Tessono la loro tela di ragno, fino a quando il pubblico non cade nella rete. Come l'assuefazione alla violenza: Alessandro Rugnone è aggressivo, non si controlla, dopo aver percosso l’attrice potrebbe far male a qualcuno del pubblico. Il silenzio è l'eloquente reazione del pubblico. Il racconto del regista, secco e cinico sul tabù collettivo della violenza sui bambini, è un pugno nello stomaco. Lo spettatore è indignato, la compagnia può essere soddisfatta, l’indifferenza è rimasta fuori.

Vale per lo spettacolo quello che Alessandro Rugnone dice dell’attore: è riuscito quando il testo è scritto bene. E il testo del “L’attuatore” è scritto e diretto bene. Un esperimento teatrale a volte discutibile, che manipola ma induce alla riflessione sulla violenza, sul confine tra finzione e realtà, sul cinismo di una parte della cultura. Come ha dichiarato Fabrizio Gifuni in una recente intervista: «Il pubblico è parte del processo creativo, a patto che sulla scena accada veramente qualcosa». Qui accade. Per un pubblico che voglia mettersi in gioco e a servizio dell’arte, fino in fondo. [deborah ferrucci]