Doomsday
id.
Regia
Neil Marshall
Sceneggiatura
Neil Marshall
Fotografia
Sam McCurdy
Montaggio
Andrew MacRitchie
Scenografia
Simon Bowles
Costumi
John Norster
Musica
Tyler Bates
Interpreti
Rhona Mitra, Bob Hoskins, Malcolm Mcdowell, Adrian Lester, Alexander Siddig, David O’Hara,
Emma Cleasby, Vernon Willemse, Jeremy Crutchley, Tom Fairfoot, Cokey Falkow
Produzione
Rogue Pictures, Intrepid Pictures, Crystal Sky Pictures, Scion Films
Anno
2007
Nazione
UK
Genere
horror
Durata
105'
Distribuzione
Medusa Film
Uscita
29-08-2008
Giudizio
Media

Dopo Dog Soldier e The Descent, pellicole caratterizzate da una relativa unità spazio-temporale in cui un piccolo gruppo, chiuso in uno spazio claustrofobico viene attaccato dall’esterno da “creature altre”, il talentuoso regista inglese Neil Marshall tenta il salto in alto con la sua ultima creature Doomsday, muovendosi su scenari più ampi, molteplici fili narrativi in uno scenario post-apocalittico che trae ispirazione ed omaggio a pellicole come 1997 Fuga da New York e Mad Max Oltre la sfera del tuono di cui ne recupera atmosfere ed estetica, mantenendone lo spirito produttivo indipendente e low budget.
A pochi giorni dalla scoperta del virus ‘Reaper’ – milioni di persone risultato infette in Scozia, luogo da dove è partita l’epidemia mortale.
Il Governo non ha scelta e proclama la nazione “zona calda” mettendo la popolazione in quarantena con la vaga speranza di limitare il contagio. Isolata dal resto del mondo, quella che una volta era la Scozia, diventa una terra di nessuno dimenticata da tutti, dove l’epidemia è libera di diffondersi e di uccidere milioni di persone imprigionate nelle loro stessa terra.
Venticinque anni dopo, quando una nuova epidemia dello stesso virus scoppia nel centro della sovrappopolata Londra, appare chiaro a tutti che i piani del Governo, che erano sembrati perfetti, sono andato completamente all’aria…
Come nei film precedenti, Marshall mostra una predisposizione e preferenza per forti ruoli femminili, affidandosi alla performance fisica della protagonista Rhona Mitra (The Number 23, Shooter) regalandoci dopo la Linda Hamilton di Terminator e la Sigourney Weaver di Alien un nuovo esempio di femmina dominante, capace di riempire lo schermo. “Un vero soldato, - la descrive il regista - un’assassina spietata che vive in un futuro prossimo e la quale, durante il cammino, ha perso la sua anima. E’ un prodotto del sistema nel quale è cresciuta ma ha una storia diversa alle spalle ed è molto legata emotivamente agli eventi narrati nel film. La sua missione, vale a dire trovare la cura per il virus letale, è in realtà una sorta di viaggio di redenzione e di ricerca della propria anima. Deve servire a farle ritrovare la sua umanità, in una sorta di ritorno a casa per ritrovare ciò che ha perso quando era bambina.”
Come era facile da prevedere, dopo i due ottimi film precedenti, crescendo le aspirazioni in un continuo mettersi in gioco, Doomsday si manifesta come un film pretenzioso, imperfetto, un patchwork di generi e rimandi in cui non tutto torna. Nella prima parte Marshall dimostra un gran talento nel costruire la tensione, nel presentare senza fronzoli i personaggi le cui psicologie saranno anche tagliate con l’accetta, ma risultano funzionali alla storia che si dipana davanti ai nostri occhi con corpi decomposti, amputati, sfracellati, smembrati, corpi decapitati in cui le teste finiscono per impattare contro la macchina da presa e schizzi di sangue ad imbrattare le lenti delle stesse.
Con il procedere dei minuti la sovrabbondanza di elementi eterogenei presenti, incapaci di amalgamarsi tra di loro in una soluzione equilibrata ed omogenea, iniziano a dare origine ad una serie di reazioni di cui il regista sembra perdere il controllo, in un progressivo sbrodolamento logico-narrativo condito da un barocchismo estetico che invece di dare ordine si autoalimenta del suo stesso caos regalando perle di divertimento, ma che come in un dolce con troppo saccarosio finisce per dare assuefazione e nausea.
Un vero peccato, perché il talento c’è, serve una maggiore maturità e forse un pizzico di umiltà in più per confermare un autore di cui attendiamo con ansia alla sua prossima opera, quella della effettiva consacrazione o declino. [fabio melandri]