Autore
tratto da "The Agony and Ecstasy of Steve Jobs" di Mike Daisey - traduzione e adattamento
di Enrico Luttmann
Regia
Giampiero Solari
Video
Cristina Redini
Luci
Paolo Giovanazzi
Coreografie
Musica
 

Un’ora che vola a tu per tu con Fulvio Falzarano in un’andirivieni di informazioni e immagini, riflessioni ed emozioni. Un turbinio di impressioni multiformi che non danno tregua allo spettatore e lo inchiodano alla sedia con il garbo di chi vuol far ragionare senza imporre forzatamente il suo punto di vista. Accade raramente che a teatro ci si senta davvero in comunione con chi sta oltre la quarta parete. E quando avviene il piacere è per la condivisione e l’empatia generalizzata che fa sentire egualmente complici.

Merito anche del testo "The Agony and Ecstasy of Steve Jobs" del contemporaneo americano Mike Daisey, tradotto e adattato da Enrico Luttmann per la regia di Giampiero Solari. Uno spettacolo critico, che mette alla berlina l’icona del XXI secolo Steve Jobs mostrando luci ed ombre di questo genio e dell’affascinate impero tecno-mediatico.
Un teatro che si fa strumento di discussione viva e che ha suscitato notevoli reazioni polemiche: la Apple ha dovuto fare delle precisazioni, ma anche Daisey si è visto costretto a dare conto di alcune sue «interpretazioni artistiche» non proprio rispondenti al vero, tanto che il testo continua ad essere aggiornato e dettagliato. «Steve è stato bravissimo, ci ha costretti ad aver bisogno di cose che non sospettavamo nemmeno di volere»; l’amara contropartita è però nelle fabbriche, dove in nome del profitto 430.000 operai sono trattati da "ingranaggio umano" e il problema dei suicidi dei lavoratori si è affrontato installando reti sotto i capannoni.

Supportato da frasi e immagini proiettate alternativamente sul fondale, Falzarano (vestito di nero alla Jobs e con una camicia hawiana a restituire meglio l’idea della ricerca di un’identità collettiva nell’ideale), si fa portavoce dell’autore in un monologo non facile da gestire. Destreggiandosi abilmente tra il didascalico e l’emotivo, l’attore tocca punte di ironia che fanno sogghignare senza distogliere dal punto. Una poltrona di pelle adagiata al centro del palco su un tappeto circolare rosso e le luci ben armonizzate in funzione del protagonista, sono elementi commisurati alle reali necessità della messa in scena. Una scelta registica alternativa, che senza scadere nel pretenzioso o scivolare in digressioni da teatro sociale, si prende finalmente la briga di far riflettere tanto sulle personali debolezze di fronte alla tecnica, quanto sulla spasmodica ricerca di miti contemporanei al di là del bene e del male. Un’eperienza da fare.
[benedetta corà]

Interpreti
Fulvio Falzarano
Produzione
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
In scena
fino al 9 febbraio al Teatro Vascello | Roma
Anno
2013
Genere
monologo