The Fog - Nebbia assassina
The Fog
Regia

Rupert Wainwright

Sceneggiatura
Cooper Layne
Fotografia

Nathan Hope

Montaggio
Dennis Virkler
Musica
Graeme Revell
Interpreti
Tom Welling, Maggie Grace, Rade Sherbedgia, DeRay Davis,
Kenneth Welsh, Adrian Hough, Sara Botsford, Selma Blair
Anno
2005
Durata
100'
Nazione
USA
Genere
horror
Distribuzione
Sony Pictures Releasing

Nell’anno 1871, una misteriosa nebbia cala sul mare, mentre quattro uomini commettono un abominevole crimine. Un veliero insieme al suo equipaggio viene saccheggiato e dato alle fiamme. Il fatto celato da una fittissima nebbia viene dimenticato e sepolto in fondo al mare, sino al giorno in cui incautamente qualcosa sveglierà gli incubi di un passato che ora esige la sua vendetta di sangue.
Una vecchia borsa lacerata libera oggetti molto antichi risalenti a quei tragici eventi di fine Ottocento; una spazzola, un antico orologio da taschino, un carillon d’oro, connessioni tra passato e presente, mondo dei vivi e mondo dei morti che innescano l’inizio della fine.
Più che remake dovremo parlare di rivisitazione dell’omonima pellicola diretta da John Carpenter nel 1980, un restyling estetico e narrativo per adattarlo al gusto degli adolescenti contemporanei.
Se l’opera di Carpenter era costruita come uno di quelle vecchie storie dell’orrore raccontate ai ragazzi prima di farli addormentare durante notti buie e tempestose, The Fog targato Rupert Wainwright (Stigmate) è un patchwork costruito su un accumulo di topoi e luoghi comuni del genere godibili per almeno 30 minuti, per poi ripiegarsi su se stesso in un anonimo e a tratti confusionario svolgimento.
Peccato, perché almeno un paio di scene sono assolutamente godibili e di sicuro effetto scioccante (vedi l’attacco della nebbia all’imbarcazione Sea Grass) ma nel proseguo della narrazione evidenti buchi di sceneggiatura e digressioni troppo prolungate allentano la tensione e sviliscono quel senso di orrore accennato e non esibito che di tanto in tanto aleggiava in ambienti e personaggi.
Purtroppo è ancora difficile far capire ai produttori che l’horror è un genere difficile in cui muoversi e non tutti i registi hanno nelle loro corde il senso del ritmo, la costruzione della suspence, la visionarietà della messa in scena, che un buon horror richiede. Troppo spesso vengono ingaggiati registi tuttofare che avvalendosi di trucchi sonori ridondanti, effetti speciali digitali, e make-up più o meno elaborati, mettono in scena un susseguirsi di morti più o meno creative considerando sussidiari gli elementi fondanti del genere prima elencati. Rupert Wainwright fa il suo per quanto il talento gli consenta, ma il ricordo dell’originale offusca e svilisce il suo lavoro.
[fabio melandri]