Munich
id.
Regia
Steven Spielberg
Sceneggiatura
Tony Kushner, Eric Roth
Fotografia
Janusz Kaminski
Montaggio
Michael Kahn
Musica
John Williams
Interpreti
Eric Bana, Daniel Craig, Ciaran Hinds, Mathieu Kassovitz,
Hanns Zischler, Ayelet Zurer, Geoffrey Rush
Anno
2005
Durata
161'
Nazione
USA
Genere
thriller
Distribuzione
UIP

Monaco, settembre 1972, alla seconda settimana dei Giochi Olimpici, un commando di estremisti palestinesi conosciuto con il nome di Settembre Nero, fece irruzione nel villaggio olimpico uccidendo due membri della squadra olimpica israeliana e prendendone in ostaggio altri nove. Teletrasmesso in diretta in tutto il mondo, il sequestro terminò 21 ore dopo con la morte di tutti gli ostaggi e dei membri del commando.
Le Olimpiadi della Pace e della Gioia come furono chiamate, divennero quelle dell’Odio e della Morte, palcoscenico mediatico sul quale consumare l’ennesimo sanguinoso capitolo della lotta tra palestinesi ed israeliani.
Steven Spielberg, basandosi sul libro 'Vengeance' (Vendetta) di George Jonas riadattato per il grande schermo dal premio Pulitzer Tony Kushner, ci racconta ciò che non-accadde nei mesi successivi, l’“Operazione Ira di Dio”, l’esecuzione da parte di una cellula non-ufficiale del Mossad, degli ideatori e fiancheggiatori di Monaco.
Protagonista l’agente sino ad allora non operativo Avner (un intenso e convincente Eric Bana) coadiuvato da un team di ‘dilettanti allo sbaraglio’ pronto a viaggiare l’Europa in lungo ed in largo per compiere il proprio destino. Figli prediletti e nello stesso tempo rinnegati di madre Israele, divisi da dubbi laceranti e irrazionali certezze, tra desiderio di vendetta e necessità di essere giusti – “Essere ebrei significa essere giusti” ricorda il fabbricante di esplosivi Robert (Mathieu Kassovitz) al proprio capo squadra Avner – il gruppo procede inesorabile verso il proprio destino. E quando semini il male, non sai esattamente dove questo può mettere radici.
Steven Spielberg ha già in passato esplorato momenti importanti della Storia con film epici come L’impero del sole, Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, puntando l’obiettivo della sua macchina da presa sul “fattore umano”, sulle lacerazioni emotive e psicologiche di quegli uomini che hanno poi scritto la Storia. Munich rientra in questa tendenza lavorando su un duplice livello narrativo: quello pubblico delle azioni del commando israeliano - dall’organizzazione all’esecuzione con intoppi e dilettantismi inclusi – e quello privato delle psicologie dei singoli componenti del commando, illustrando i dubbi e le certezze che accompagnano ed in qualche modo fungono da giustificante alle loro azioni.
La debolezza di un film come Munich risiede principalmente in due elementi. Primo l’accademismo e ripetitività della messa in scena spielberghiana, che mostra da una parte di aver fatto sua la lezione di “costruzione della suspence” teorizzata da Hitchcock – sapere che vi è una bomba pronta ad esplodere è diverso che assistere ignoranti allo scoppio della medesima bomba -; ma la reiterazione del canovaccio, appesantisce stancamente la struttura narrativa rientrando in una meccanicità senza soluzione di continuità. Il secondo anello debole della catena risulta una evidente timidezza da parte del regista nello sposare in toto una “idea”, giusta o sbagliata che sia. Chiamatelo se volete... cerchiobottismo. Per due ore Spielberg, teorizza e sembra sposare la linea della vendetta, dolorosa e lacerante quanto si vuole, ma sempre coerente con l’occhio per occhio, dente per dente. Nell’ultima mezz’ora, la prospettiva viene completamente ribaltata, con il netto rifiuto della violenza, dell’odio, della vendetta, del sangue che genera sangue, della faida da interrompere prima che le conseguenze diventino devastanti – e l’immagine finale dello skyline di New York pre-11 settembre con le Torri Gemelle che svettano ancora orgogliose verso l’alto è un inquietante ammonimento.
Un film sugli affetti, sul senso di appartenenza ad un nucleo “familiare”, che puo’ essere la famiglia nel senso stretto del termine, ma anche il proprio stato, una ideologia nel senso più alto e nobile del termine, un’organizzazione para-familiare. Spielberg insiste molto su questo tasto, mettendo in scena tutte queste differenti tipologie di unioni o affiliazioni, risultando di gran lunga la parte più interessante dell’opera. Rimane comunque un senso di profonda insoddisfazione nei confronti di questa pellicola, dovuto alla mancanza di quel pizzico di coraggio in più capace di trasformare un thriller storico in un qualcosa di più…
[fabio melandri]

trailer originale