Miracolo a Le Havre
Le Havre

Anno 2011

Nazione Finlandia, Francia, Germania

Genere commedia

Durata 93'

Uscita 25/11/2011

distribuzione
BiM Distribuzione

Regia
Aki Kaurismaki
Sceneggiatura
Aki Kaurismaki
Fotografia
Timo Salminen
Montaggio
Timo Linnasalo
Scenografia
Wouter Zoon
Costumi
Frédéric Cambier
Musica
-
Produzione
Sputnik,
Pyramide Productions,
Pandora Film, Arte France Cinéma
Interpreti
André Wilms,
Kati Outinen,
Jean-Pierre Darroussin,
Blondin Miguel

 

Pare che Fellini capì di essere diventato un Maestro quando venne coniato l'aggettivo “felliniano”; Aki Kaurismaki potrebbe aspirare a un tale onore perché, che si trattasse di atmosfera da bohème, da romanzo hard-boiled o di musica punk, con pochi fotogrammi è sempre riuscito a imporre la propria inconfondibile impronta. Per questa nuova e attesa fatica, ha scelto come scenario la Francia popolare, quella di René Clair e Marcel Carné e del realismo poetico, certamente un motivo d'ispirazione mai secondario nella sua eclettica filmografia.
Protagonista della storia è Marcel Marx (un André Wilms misurato e perfetto), ex scrittore dedicatosi al mestiere di lustrascarpe, la cui esistenza viene sconvolta dal ricovero per un male incurabile della moglie (la solita affidabile musa, Kati Outinen) e dal contemporaneo incontro con un giovane profugo africano sfuggito ad una retata della polizia (Blondin Miguel). Le insistenti ricerche di un bizzarro commissario (Jean-Pierre Darroussin) e le crudeli soffiate di un odioso vicino (un sorprendente Jean-Pierre Léaud, ex volto della Nouvelle Vague) potrebbero mettere in pericolo il ragazzo e il suo rapporto con il vecchio, ma la cooperazione di tutto il quartiere, l'intercessione di una rockstar locale (tale Little Bob, personaggio che non sarebbe stato più “kaurismakiano” neppure se lo avessero progettato al computer), la volontà di aiutare il prossimo e un po' d'umanità saranno in grado di far cambiare rotta.
La trama è in effetti una specie di fiaba popolare, che rischierebbe di diventare in qualsiasi momento troppo melensa o troppo assurda se non passasse per le mani di Kaurismaki. La sobrietà quasi parossistica nella direzione e nel lavoro di tutti gli attori, nelle scenografie, nel surrealismo dei dialoghi non perde mai di vista la lezione morale che viene dalla storia, così come l'ironia: fino ai minuti finali infatti non si sa se dietro la macchina da presa è più giusto immaginare un ghigno beffardo o un occhio lucido di commozione.
Nel celebre finale di “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica, che la distribuzione italiana ha deciso di richiamare nel titolo, i più poveri rubavano le scope agli spazzini di Piazza del Duomo per volare in cielo verso un mondo migliore e un futuro tanto poetico quanto irreale. Qui, proprio quando tutto sembra volgere al peggio, si vede il buon Marcel usare la stessa vecchia scopa per pulire per terra e incamminarsi invece verso un mondo reale, in cui la felicità sta nel poter camminare con le proprie gambe fuori da un ospedale, nel blues di un vecchio vinile di Blind Willie McTell suonato da un giradischi e nella scoperta di sentimenti fraterni nei propri simili, dalla panettiera al kafkiano sbirro. Ma un mondo così, che può essere salvato dal rock senza altre intercessioni dall'Alto e che fa ricevere per quello che si dà, per quanto possa apparire a portata di mano, è utopistico e lontano tanto quanto quello in cui si vola a cavallo delle scope. Kaurismaki lo sa bene ed ha avuto ragione ancora una volta nel raccontare con grazia ispirata la poesia delle cose (poco) comuni.
[emiliano duroni]