Memorie di una Geisha
Memoirs of a Geisha
Regia
Rob Marshall
Sceneggiatura
Robin Swicord,
Doug Wright
Fotografia
Dion Beebe
Montaggio
Pietro Scalia
Musica
John Williams,
Colleen Atwoodl
Interpreti
Ken Watanabe, Ziyi Zahng, Koji Yakusho, Michelle Yeoh, Gong Li
Anno
2005
Durata
137'
Nazione
USA
Genere
sentimentale
Distribuzione
Eagle Pictures
‘Geisha’ in giapponese significa ‘artista’; della danza, della musica, della conversazione, dell’arte del te, del dare piacere in tutte le sue forme. Una figura mitica la cui origine si perde nella notte dei tempi ed i cui echi sono giunti sino a noi coperti da un velo di mistero e di sapori lontani. Una figura che nell’immaginario collettivo occidentale, così abituato a consumare tutto e subito, a ridurre per semplificazioni, ha acquisito una bidimensionalità assolutamente fuorviante e comparabile ad una figura dai comportamenti leggeri e licenziosi; una dama di compagnia il cui piacere è pura fisicità, una sorta di prostituta per alta società.
Ci si augurava che a riaffermare la verità su tale figura contribuisse almeno in parte Memorie di una geisha, tratto dall’omonimo bestseller – e qui il primo campanello di allarme – di Arthur Golden. Il romanzo nato da una serie di conversazioni avute con una vera geisha da parte di Golden, laureato in Storia dell’Arte e con un Master in Storia del Giappone, avrebbe dovuto nelle intenzioni dell’autore sfatare il mito di cui sopra e riaffermare una verità che è innanzitutto storica.
Questo non accade, almeno nella pellicola diretta da Rob Marshall, autore del pluripremiato Chicago cinematografico. Se in Chicago Marshall, che proveniva dai palcoscenici del West End londinese in cui aveva messo in scena la medesima opera, conosceva la materia che maneggiava e l’aggrediva plasmandola con la macchina da presa e mezzi prettamente cinematografici, in questa sua seconda fatica, vuoi perché chiamato in sostituzione del rinunciatario Spielberg - rimasto in veste di produttore - vuoi perché di fronte ad una materia a lui poco congeniale, si limita ad un calligrafismo di maniera, elegante quanto si vuole, ma sterile e privo di invenzioni visive e narrative che vivacizzino una materia altresì indolente ed apatica come norme e regole che trasformano una giovane bambina dai natali umili a geisha tra le più ricercate e desiderate.
Il film soffre di quella superficialità che si voleva in realtà affrontare e sconfiggere con la storia dell’amore impossibile della geisha Sayuri (Zhang Ziyi, Hero e La foresta dei pugnali volanti) ed il Sovrintendente (Ken Watanabe, L’ultimo samurai) che fagocita rituali e regole di comportamento che avrebbero bisogno di un’opera loro dedicata completamente. Ma essendo un film pensato per piacere ad un pubblico prevalentemente occidentale affascinato dal quel turistico esoticismo oggi materializzatosi nei sempre più frequenti sushi-bar, il dramma amoroso conquista velocemente il proscenio per non abbandonarlo più. E non aiuta di certo la leggerezza dell’opera e la sua scorrevolezza la costante presenza della voce-off narrante ed onnisciente della protagonista che spiega troppo e tutto, invadendo ogni singola inquadratura del film.
Forse sarebbe stato necessario un occhio giapponese, una sensibilità meno votata allo spettacolo per poterci accompagnare per mano all’interno di un mondo che è più animistico che fisico, filosofico che pedagogico. Rimane un’opera incompiuta, un’occasione mancata, più noiosa che affascinante, più illustrativa che formativa.
[fabio melandri]