La febbre
id.
Regia
Alessandro D'Alatri
Sceneggiatura
Gennaro Nunziante, Alessandro D'Alatri, Domenico Starnone
Fotografia
Italo Petriccione
Montaggio
Osvaldo Bargero
Musica
Fabio Barovero, Roy Paci, Negramaro, Simone Fabbroni
Interpreti
Fabio Volo, Valeria Solarino, Vittorio Franceschi, Massimo Bagliani, Gisella Burinato, Thomas Trabacchi, Gianluca Gobbi, Cochi Ponzoni, Arnoldo Foà
Anno
2005
Durata
108'
Nazione
Italia
Genere
commedia
Distribuzione
01 Distribution

Se l’Italia è malata, siamo tutti a rischio di contagio. Il virus sa come essere insidioso e subdolo, conosce i punti deboli dell’uomo perché lo scruta da lontano, ne ingrandisce l’immagine con la lente dei suoi occhi artificiali, ne penetra a fondo i segreti più reconditi con il solo intento di annientarli. Come la peste di Bukowski, la febbre è quell’individuo che ti alita sul collo, che conosce i tuoi pensieri, i tuoi sogni e ne distrugge con arroganza il diritto d’esistere. Unico vaccino è l’isolamento, il ritorno al proprio “io” originario che gli altri hanno cercato, volontariamente o meno, di fare proprio. L’ultimo film di Alessandro D’Alatri è un sincero affresco di una povertà e di una bassezza che affliggono l’Italia e gli italiani, una povertà d’animo che s’insinua silenziosa in quegli ambienti dove le possibilità di agire si riducono ad azioni di arbitraggio telecomandate. Ritorna, sotto altre vesti, la viscida presenza di quel borghese piccolo piccolo, con le sue melliflue adulazioni e servili ruffianerie. Ma è solo un’ombra. Mario Bettini è il figlio sopravvissuto di una generazione che riponeva nei figli sogni ed aspirazioni mancate, che tentava di ottenere con ogni mezzo un posto di lavoro in un’epoca di triste precariato. Mario Bettini è la rivincita dell’individuo nei confronti di una società che ti modella a suo piacimento, ti comprime in una forma e ti costringe al silenzio. Un silenzio complice, un silenzio che non è mai innocente. In una piccola e garbata città di provincia, D’Alatri mette in scena il suo teatro di personaggi e tipi e lascia alzare il sipario su quegli aspetti che rendono sterili tutti gli entusiasmi. Come può allora un individuo cambiare il corso degli eventi, rompere quel silenzio ipocrita che ha ingoiato allo stesso modo amici, genitori e colleghi di lavoro? Agendo dall’interno, forse. Il giovane geometra comunale, un bravissimo Fabio Volo, è l’uomo che oscilla perennemente tra ciò che deve e ciò che dovrebbe, tra un obbligo inconsapevolmente imposto dalla memoria di un padre morto e la personale convinzione di non appartenere a quello stesso mondo. L’incontro con la bella e spontanea Linda porterà Mario in una dimensione che credeva perduta, una dimensione alla quale aveva consapevolmente rinunciato per recitare un ruolo, quello del lavoratore che riceve ordini dall’alto e del figlio che asseconda il desiderio di una madre invadente. E da quell’incontro la consapevolezza, la presa di coscienza di una società che arriva a calpestare i propri morti per questioni di profitto ed interesse; di un mondo sporco ed ormai contaminato dalla febbre: quella dell’invidia. D’Alatri confeziona un buon prodotto, riuscendo a non cadere in moralismi e teorie politiche pur nella rappresentazione fin troppo evidente di un messaggio che ha come scopo quello di arrivare a tutti. Ottimi gli interpreti, belle le riprese della campagna grezza contrapposta alla rigida forma di una società che conserva sempre la faccia, qualsiasi cosa si celi sotto di essa. Una commedia intelligente che a tratti ripercorre la strada della memoria, di un’Italia fatta di poeti e scrittori, di un’eredità che sembra non averci lasciato niente. Ma La febbre è anche una scintilla di ottimismo che lascia all’individuo la capacità di cambiare se stesso dall’esterno, lontano da quel campo da calcio dove l’azione è solo parte di un complicato ingranaggio. [giulia rastelli]

La febbre come stato di alterazione fisica, segno tangibile e misurabile di una reazione dei nostri anticorpi ad un attacco virale esterno.
La febbre dell’invidia, dell’arroganza del potere, della perdita di valori, di piccole e grandi gelosie è quella che attanaglia il paese Italia. Gli unici anticorpi sono la realizzazione dei nostri sogni, dei nostri desideri, o almeno il tentativo convinto intrapreso per realizzarli. La società castrante con le sue aspettative private (genitori, amici, colleghi) debilitano l’uomo, l’individuo, il cittadino costretto a barcamenarsi per vivere una vita che è più frutto di una serie di desideri altrui che non convinzioni personali.
Mario, geometra comunale per volontà paterna, vive una vita di provincia basata sui sogni e desideri di una madre invadente ed onnipresente, amici ambiziosi ma inetti, colleghi volenterosi ma sottomessi ad un arrogante e prepotente capo ufficio. Gli schemi di questa sua vita noiosa e regolamentata vengono rotti un giorno dalla comparsa di Linda, laureanda in lettere, amante della poesia, dei cani e della vita campestre, che sconquassa lo status quo portando quel livello minimo di felicità nella vita di Mario.
Seguire i propri desideri, le proprie aspirazioni, diventare fautori della propria vita, imprenditori di se stessi è il messaggio neanche troppo velato della nuova pellicola di Alessandro D’Alatri, qui alla sua seconda collaborazione con Fabio Volo. Un film che ha l’obiettivo di dare una scossa ad un paese colpito da una febbre persistente, non grave ma debilitante. Un grido forte di ottimismo puro chiuso in una confezione elegante nelle immagini, con le musiche melanconiche dei Negramaro, le recitazioni sanguigne e convincenti da parte di un cast composto essenzialmente da giovani e maturi talenti. Se difetti troviamo in questa pellicola, risiedono in un uso a volte sterile degli effetti speciali – soprattutto in alcuni raccordi - e nella volontà da parte del regista di rendere assolutamente troppo manifesto ed evidente il messaggio del film. La sequenza con il Presidente della Repubblica che prende una birra nel locale di Mario nell’economia dell’opera e del messaggio che si voleva lanciare risulta inutile, appesantendo oltremodo il racconto con un “pistolotto” di cui non se ne sentiva assolutamente il bisogno. Il dono del sottinteso purtroppo manca nel giovane cinema italiano, anche nel più ambizioso. Peccati veniali che probabilmente verranno corretti nel tempo quando dall’ “invettiva” propositiva si passerà alla riflessione tematica e probabilmente, visti i tempi, al rimpianto per ciò che poteva essere ed invece non è stato.[fabio melandri]


Approfondimenti: Intervista ad Alessandro D'Alatri e Fabio Volo (conferenza stampa)