Flags of Our Fathers
id.
Regia
Clint Eastwood
Sceneggiatura
William Broyles Jr, Paul Haggis
Fotografia
Tom Stern
Montaggio
Joel Cox
Scenografia
Henry Bumstead
Costumi
Deborah Hopper
Musica
Clint Eastwood
Produzione
Malpaso, Amblin Entertainment
Interpreti
Ryan Philippe, Jesse Bradford, Adam Beach, John Benjamin Hickey,
John Slattery, Barry Pepper, Jamie Bell, Paul Walker
Anno
2006
Genere
guerra
Nazione
USA
Durata
131'
Distribuzione
Warner Bros
Uscita
10-11-06

La battaglia di Iwo Jima resta negli annali delle operazioni belliche come uno degli episodi più sanguinari del secondo conflitto mondiale sul fronte giapponese.
Isola strategica per le linee di difese giapponesi, era considerato un passo obbligato per lanciare l’offensiva finale sul nemico con gli occhi a mandorla. E così fu.
Ma la sua conquista costò 35 giorni di battaglia, 20.000 morti giapponesi e 6821 americani, oltre 20000 feriti in battaglia.
Il quinto giorno di quella ecatombe fu scattata la famosa fotografia dell’innalzamento della bandiera americana su Iwo Jima, realizzata dal fotografo della Associated Press Joe Rosenthal che diede origine ad una lunga fila di iconografie e di un famoso monumento a Washington. Foto che in America significava United We Stand per la vittoria finale, foto che significava una vittoria storica sul nemico, che significava propaganda in patria per la raccolta del denaro necessario a proseguire lo sforzo bellico (14 miliardi di dollari, centesimo più centesimo meno), significava l’atto eroico di 5 Marines e di un Ufficiale Sanitario della Marina Americana.
Ma tra la realtà dei fatti ed il loro racconto spesso c’è uno iato immenso, e la vera storia di quell’innalzamento e dei suoi protagonisti è oggi il cuore di questa pellicola di guerra diretta da Clint Eastwood, primo capitolo del dittico che il grande regista ha deciso di dedicare alla battaglia di Iwo Jima. Il secondo capitolo – Lettere da Iwo Jima – lo tratterà dalla parte dei giapponesi in un affresco dove non ci sono buoni e cattivi ma solo uomini-contro in nome di un ideale.
Beato quel paese che non ha bisogno di eroi. Non è il caso degli Stati Uniti d’America che sulla fabbrica di eroi ha costruito il suo mito e gran parte della sua storia. Capace di sfornare eroi quotidiani che potessero essere da esempio illuminato dei valori americani, per tenere unita una nazione multietnica nei momenti più sconfortanti e drammatici della sua storia tanto recente (vedi l’11 settembre 2001) quanto passata (dal Vietnam ai drammatici assassini politici della sua storia).
Anche l’innalzamento della bandiera di Iwo Jima non è che un anello di questa catena di montaggio del mito americano. Un semplice gesto di incoraggiamento verso le truppe in difficoltà, strumentalizzato come segno di imminente vittoria e sei semplici uomini trasformati loro malgrado in eroi per caso.
Clint Eastwood racconta la vera storia di quel gesto, del significato che assunse sia per l’America ma soprattutto per i soldati che ne furono protagonisti, attraverso un racconto frammentato come le schegge di una granata, alternando e sovrapponendo continuamente piani spaziali e temporali, legati tra loro dalla fotografia desautorata e tendente ad un bianco e nero d’annata di Tom Stern, storico collaboratore di Eastwood dai tempi di Honkytonk Man.
Una scelta stilistica e narrativa che non convince fino in fondo. Esteticamente il film risulta una sorta di fotocopia di Salvate il soldato Ryan, ed il sospetto è più che giustificato dalla presenza di Spielberg come produttore, mentre i salti temporali risultano alla lunga meccanici, appesantendo una sceneggiatura che probabilmente avrebbe avuto bisogno di una maggior capacità di sintesi soprattutto nel lungo finale, quando la retorica rischia di travalicare gli argini. E per un tipo di poche parole come Eastwood che aveva fatto del "non detto" il suo punto di forza è un passo indietro.
Rimane comunque impressa nella mente almeno una grande sequenza. Lo sbarco degli americani sull’isola. Contrariamente a quanto accadeva in Soldato Ryan, i Marines non furono accolti da una bordata di pallottole, ma da un lungo silenzio. Una calma apparente che però tra gli arbusti, sotto la sabbia, dentro le cicatrici della montagna mostra segnali evidenti della che da li a poco si sarebbe scatenata. Bocche di cannone pronte all’uso, mirini di mitragliatrici automatiche indirizzate contro i corpi e le divise di uomini che inconsapevolmente camminavano verso il loro destino. Sequenza straziante per la tensione costruita e cinematograficamente perfetta. [fabio melandri]


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