La fine è il mio inizio
Das ende ist mein anfang
Regia
Jo Baier
Sceneggiatura
Folco Terzani, Ulrich Limmer
Fotografia
Judith Kaufmann
Montaggio
Claus Wehlisch
Scenografia
Eckart Friz
Costumi
Gerard Gollnhofer
Musica
Ludovico Einaudi
Interpreti

Bruno Ganz, Elio Germano, Erika Pluhar, Andrea Osvárt, Nicolò Fitz-William Lay

Produzione
Collina Film, B.A. Produktion, Bayerischer Rundfunk (BR),
Südwestrundfunk (SWR), ARTE, Degeto Film, Beta Film, Rai Cinema
Anno
2010
Nazione
Germania
Genere
drammatico
Durata

98'

Distribuzione
Fandango
Uscita
01-04-2011
Giudizio
Media

Potrebbe sorgere spontanea una domanda: perché dopo il libro, in cui il racconto orale di un padre diventa lavoro di trascrizione per il figlio; perché dopo l’audiolibro, in cui la storia ritorna all’origine della sua oralità; perché dopo l’intervista, l’ultima, di Tiziano Terzani ad opera del regista Mario Zanot e perché dopo i diversi programmi dedicati alla figura di questo personaggio poliedrico eppure così semplice, immediato: perché il film?
La risposta, che per Bob Dylan soffiava nel vento, nel lungometraggio di Jo Baier arriva invece da un luogo e da un luogo molto preciso: l’Orsigna.
Tiziano Terzani, per i molti che hanno seguito il suo percorso o che l’hanno scoperto recentemente diventando suoi appassionati lettori, ha ormai detto tutto ciò che gli premeva dire. Usando le sue stesse parole, “non lascio nulla d’incompiuto nella mia vita”. Come approcciarsi quindi ad un film che è la riproduzione fedele (l’ennesima) del pensiero di Tiziano? Risposta: attraverso il luogo.
Perché ciò che il film veramente restituisce allo spettatore è la verità di quel contesto intimo che solo può rendere efficace anche la parola. Tutto assume un significato diverso se lo sguardo si posa in quello spazio che non è ricostruzione cinematografica ma autentico scenario di vita. E solo in questo modo il film restituisce Terzani, il senza nome, ad una identità e soprattutto ad una presenza tangibile che altrimenti sarebbe mancata. Jo Baier accoglie questa sfida con passione. La sfida di far parlare Tiziano non attraverso un semplice attore (un bravissimo ed intenso Bruno Ganz), ma attraverso quel luogo segreto scelto come suo ultimo rifugio prima della morte. La sua piccola Himalaya nel cuore dell’Italia. Perché non dobbiamo dimenticare che Tiziano era un italiano, “europeo dalla punta dei capelli alla punta dei piedi” come amava dire di se stesso. E questa italianità l’ha portata in giro per il mondo, assimilandola alle sue molteplici esperienze di vita. Un’italianità che ritorna anche nel film attraverso il paesaggio stregato e magico della sua terra d’infanzia. Una sfida raccolta con passione anche dagli attori, il cui lavoro principale non è stato tanto quello (sempre difficile) di calarsi negli abiti di un personaggio, quanto quello molto più audace e coraggioso di ricostruire, in un momento così fragile come quello che precede la morte, un dialogo tra un padre ed un figlio. Tutto questo senza scavare nel passato attraverso le immagini, senza l’ausilio di fastidiosi flash back esplicativi, senza voci fuori campo, senza narratori se non quelli interiori che ciascuno possiede dentro di sé. Elio Germano è Folco, il figlio che lascia i suoi impegni nella febbricitante America per recarsi da suo padre, all’Orsigna. Un ruolo difficile, fatto di silenzi attivi e parole che sono domande. “Cosa vedi quando guardi il mondo?” E sullo sfondo, la sensibile musica di Ludovico Einaudi ad accompagnare i momenti più intensi di questo dialogo che è poi il “grande viaggio della vita”.

Nella conferenza stampa seguita alla visione del film, tutti questi elementi tornano quasi a suggellare e dare conferma alle impressioni scaturite dalla naturale chiusura del cerchio che, paradossalmente, apre la scena. Oltre al cast artistico, la conferenza è stata presenziata dalla famiglia Terzani al completo: Folco, Saskia ed Angela. E Tiziano, che sicuramente sarà stato seduto da qualche parte in mezzo al pubblico, ancora una volta spettatore attento degli eventi. La parola questa volta, però, è toccata ad altri. Racconta Angela, la moglie: “Bisogna decidere subito se vivere con un uomo come Tiziano. La sfida, per me, è stata quella di non soccombere, perché le vittime sono insopportabili. E tra me e Tiziano, nonostante avesse sempre lui voce in pubblico, ogni decisione era presa insieme, se ne parlava e si condivideva moltissimo”. E si comprende anche perché Tiziano accostava l’amore di sua moglie a quell’immagine bellissima dell’elefante legato al palo con un filo di seta. Per Saskia e Folco, a cui “ho imposto il mio amore per la Cina”, come Tiziano scrive nella dedica al libro La porta proibita, il padre rimane sicuramente un uomo singolare “assente per lunghi periodi ma fortemente presente in mezzo a noi”. Folco lo definisce un “pacifista incazzato, una figura ingombrante ma sicuramente anche la persona più interessante che abbia mai conosciuto nella vita ”.
Per Saskia resta “difficile immaginare un padre diverso. Solo ora, con la prospettiva della distanza, comprendo cosa ha significato per me essere sua figlia. Apprendo ora quelle lezioni e quell’identità che solo negli anni hanno potuto formarsi e sedimentarsi attraverso l’esperienza”. Ed in questo forte tessuto emotivo si colloca il lavoro degli attori, interpreti di una profondità che il film manifesta in ogni scena senza per questo palesarla sfacciatamente. Per il regista Baier diventa infatti di fondamentale importanza “non cadere nel significato puramente spirituale che la parola di Terzani può far nascere. Il film non vuole essere portavoce di un messaggio New Age sulle possibilità dell’anima, ma vuole porsi con occhio critico ed attento non solo nei confronti degli eventi della storia, ma anche di quelli personali, come la morte”. Sul tema della spiritualità è illuminante l’intervento di Elio Germano attraverso il racconto di un aneddoto. “Ho raccolto in quei boschi molte castagne. Nel fare questo mi premuravo anche di raccogliere e salvare i vermi del frutto, perché ci si sentiva tutti come se fossimo entrati in un posto magico in cui ogni cosa meritava il rispetto della vita. Alla fine mi sono accorto che i miei vermi diventavano il pasto degli uccelli e che la natura pensava da sola a cibarsi degli stessi esseri che io andavo meticolosamente salvando dalla morte!
Nessuna retorica quindi sul tema del trapasso dell’anima, ma molta lucida consapevolezza raggiunta attraverso la meditazione, ma anche e soprattutto attraverso l’osservazione del mondo che è anche fuori di noi. Un aspetto che non è stato risparmiato nel film, come del resto nulla è stato moderato per fini puramente cinematografici, compreso il rapporto conflittuale tra il figlio Folco ed il padre. Ed allo stesso tempo, nulla è stato inventato od inserito come elemento di puro effetto emotivo. “Se tutto diventa possibile, allora la storia non è più interessante”, commenta Folco. E nell’unire le due grandi Himalaya della vita di Terzani, gli unici elementi a subire un cambiamento di luogo sono stati i corvi, che proprio dalla sommità di quelle azzurre vedute sono stati trasferiti al più circoscritto cielo dell’Orsigna, dove in realtà non sono mai arrivati. Ma questo, se non altro, sottolinea l’importanza di un luogo che diventa rifugio e soprattutto nuovo punto di partenza per un altro e più appassionante viaggio. [giulia rastelli]