Final Destination 3
id.
Regia
James Wong
Sceneggiatura
James Wong, Glen Morgan
Fotografia
Robert Mclahan
Montaggio
Chris Willingham
Musica
Shirley Walker
Interpreti
Mary Elisabeth Winstead, Ryan Merriman,
Kris Lemche, Texas Battle, Alexs Johnson
Anno
2005
Durata
82'
Nazione
USA
Genere
horror
Distribuzione
Eagle Pictures

Nel 2000 fu l’incidente aereo del volo 180 per Parigi a dare inizio alla partita a scacchi tra i sopravvissuti e la Signora di nero vestita. Nel 2003 il campo di gioco si trasferisce su un’autostrada ed il tassello che innescava il sanguinolento dòmino di vite umane era dato da uno spettacolare incidente automobilistico. Legame tra le due pellicole, l’unica sopravvissuta del primo capitolo.
Ora James Wong, regista del primo capitolo e produttore del secondo, torna dietro la macchina da presa e da scrivere, portandoci in cima ad una infernale montagna russa per farci precipitare nell’ennesimo incubo senza fine.
Il film ripercorre la medesima struttura dei capitoli precedenti, con un incidente spettacolare iniziale, un determinato numero di sopravvissuti legati tra loro da un duplice filo amicale ed emotivo, una lista di esecuzioni che segue l’ordine della morte mancata, in questo caso la seduta sul carrello lasciato vuoto delle montagne russe.
Ma al contrario di Final Destination 2, l’alchimia che aveva sorretto il secondo capitolo e che gli permise di sopravvivere all’azzeramento del fattore sorpresa del capostipite, non si ripete in nessuna forma. Al contrario tutto appare noiosamente sbiadito e frettoloso. I personaggi sono disegnati con superficialità, la trama è fortemente prevedibile con agli sceneggiatori più interessati ad arrivare ai momenti più gore per risvegliare lo spettatore dalla noia e trasmettere un minimo di shock emotivo. Shock emotivi che si susseguono tra esplosioni di teste, amputazioni di corpi e una serie di invenzioni che suscitano l’irrefrenabile ilarità dello spettatore - vedi la sequenza della morte in palestra.
Final Destination 3 è legato al primo capitolo della saga sia per la presenza del medesimo regista, sia a livello narrativo con una serie di riferimenti che istruiscono i giovani protagonisti di questo capitolo su come affrontare la Morte. Come i cani di Pavlov, Wendy (Mary Elisabeth Winstead) e Kevin (Ryan Merriman) apprendono i segnali, interpretano gli indizi che la Morte semina come briciole di pane lungo il cammino della sua vendetta, riuscendo a salvarsi ripetutamente la vita ma non quella dei loro arroganti e miscredenti amici. E le morti che si susseguono in questo capitolo sono più efferate, più violente, più sanguinolente dei precedenti sebbene preceduti da un’eccessiva elaborazione delle scene del crimine da parte della Morte, su tutte quelle del centro di bellezza (la più impressionante dal punto di vista visivo) e quella del magazzino di articolo per il bricolage.
Ma le dosi eccessivamente dopanti degli elementi splatter (termine quanto mai appropriato in questa occasione) non salvano nel complesso un film che si segnala per dialoghi inverosimili e dall’esito involontariamente comico e varie amenità distribuite lungo gli 82 minuti di proiezione.
Una saga che non meritava un capitolo finale (ci auguriamo) così sbiadito ed a tratti irritante. Peccato.
[fabio melandri]

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