Fast Food Nation
id.
Regia
Richard Linklater
Sceneggiatura
Richard Linklater,
Eric Schlosser
Fotografia
Lee Daniel
Montaggio
Sandra Adair
Scenografia
Joaquin A. Morin
Costumi
Kari Perkins
Musica
Friends of Dean Martinez
Produzione
BBC Films, HanWay Films,
Participant Productions
Interpreti
Wilmer Valderrama, Catalina Sandino Moreno, Greg Kinnear, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Bruce Willis, Avril Lavigne, Kris Kristofferson
Anno
2006
Genere
drammatico
Nazione
USA
Durata
116'
Distribuzione
DNC
Uscita
20-07-07

Fast Food Nation nasce come libro. Nel 2001 quando fa la sua comparsa nel panorama editoriale statunitense è subito un successo: è stato letto da “più persone di quante il mio ego potesse desiderare” afferma il suo autore Eric Schlosser. E questo non può che essere un bene. Per una volta un bestseller ha il coraggio di farsi portavoce della controcultura statunitense senza remore e con forza. Schlosser picchia duro sull’industria alimentare dei fast food e sui metodi aziendali applicati tra condizioni pericolosamente antigieniche e manodopera a basso costo (in genere immigrati clandestini).
Nel 2006 il regista Richard Linklater, famoso per il suo cinema indipendente e anticonformista, decide di adattare
Fast Food Nation per il grande schermo avvalendosi della collaborazione dello stesso Schlosser. Ma Linklater non opta per il documentario come ci si potrebbe aspettare. Preferisce mettere alla berlina il sistema alimentare statunitense attraverso la storia di più personaggi concatenati tra loro: un gruppo di immigrati messicani, un’inserviente di fast food, un manager aziendale, dei giovani dissidenti. Le loro storie corrono parallele ma in certi punti riescono anche ad incrociarsi senza però formare mai una figura di senso compiuto. Quasi a testimonianza di un’impossibilità di soluzione.
Non c’è speranza questo sembra dirci Linklater che ha uno sguardo davvero pessimista sulla realtà del suo Paese: gli immigrati non hanno scelta e pur di non tornare in Messico sottostanno a qualsiasi compromesso (economico, psicologico, sessuale), il manager, anche se venuto a conoscenza della pericolosa realtà dei fatti, preferisce chiudere un occhio in nome del business, l’inserviente si licenzia e si unisce al gruppo di dissidenti che però non riesce a mettere in pratica i suoi aulici ideali e fallisce ogni tentativo di protesta.
C’è purtroppo da dire che forse proprio in questo, ossia nel meccanismo narrativo meramente cinematografico, il film perde parte della sua incisività. Il cinema è finzione e anche quando il messaggio che si vuole trasmettere è importante e forte la sovrapposizione di storie fittizie a situazioni realmente esistenti finisce per inficiarne il vero significato. In un caso come questo il documentario alla Michael Moore per intendersi avrebbe maggiormente giovato.
Ne esce fuori un ritratto della società americana di oggi sì inquietante e indigesto ma anche velato di quella tragicità drammaturgica da copione che un po’ esula dal suo vero fine di denuncia. Vedere Ethan Hawke che spinge la nipote a ribellarsi al sistema o Kris Kristoffersson che rivela le condizioni igieniche del mattatoio in cui lavorava o la Sandino Moreno che concia le carcasse bovine o ancora Bruce Willis che ammette che nella carne degli hamburger ci sono escrementi non ha la stessa valenza di vedere le persone che davvero hanno vissuto quelle esperienze e sentire le loro testimonianze.
Resta comunque un film politico importante e necessario. Soprattutto per gli spunti di riflessione che lancia rispetto alla catena macinasoldi dei fast food e all’influenza e al controllo che esercita sulla nostra economia, sulla nostra salute e sulla nostra vita.
Se siamo davvero quello che mangiamo non c’è da stare allegri…

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