Borat- Studio culturale sull'America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan
Borat: Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan
Regia
Larry Charles
Sceneggiatura
Sacha Baron Cohen, Anthony Hines, Peter Baynham, Dan Mazer
Fotografia
Luke Geissbuhler, Anthony Hardwick
Montaggio
Craig Alpert, Peter Teschner, James Thomas
Scenografia
David Maturana
Costumi
Jason Alper
Musica
Erran Baron Cohen
Produzione
Four by Two - Everyman Pictures
Interpreti
Sacha Baron Cohen, Ken Davitian, Luenell, Pamela Anderson, Bob Barr
Anno
2006
Genere
commedia
Nazione
USA
Durata
84'
Distribuzione
20th Century Fox
Uscita
02-03-07

Prima di iniziare una doverosa premessa: questa recensione tratta del film Borat, con annesso kilometrico sottotitolo, così come verrà visto dal 99% del pubblico del belpaese, e cioè doppiato in italiano.
Precisazione imprescindibile, poiché, tanto per fare un esempio, se alla proiezione stampa organizzata per la Festa del Cinema dell’ottobre scorso i critici in sala si stavano sentendo male dal ridere dopo nemmeno metà film, alla sua riproposizione propedeutica al lancio in sala, dopo venti minuti regnava il più assoluto silenzio.
L’operazione Borat-Italia è un brodino riscaldato dell’immenso successo che lo scorrettissimo e intelligente Sasha Baron Cohen ha avuto nel lancio (più o meno) internazionale della pellicola.
Il film, infatti, si struttura come un mockumentary surreale, in cui un attore, americano ed ebreo, si finge un reporter kazako, con tanto di tradizioni natie al limite del buongusto, mutandoni retati e soprattutto con un inglese macchiettistico ed esilarante, per andare ad indagare nelle più disparate situazioni della società americana: sue vittime sono insegnanti di bon ton e di umorismo, ignari passanti, organizzatori di rodei, star come Pamela Anderson, perfino esterrefatti membri del Congresso.
Borat, con il suo linguaggio sgangherato, la sua finta ingenuità, il sottile e calcolato gusto dell’orrido, irrompe nelle sfumature nascoste del vivere in America, costruendo un finto documentario sull’esilarante ed assurdo approccio alla realtà e alla socialità di gran parte delle sue vittime.
Rimane un po’ difficile credere che nessuna delle sequenze inserite nel film contenga elementi di recitazione, che sia tutto spontaneo (si pensi alla sequenza con la Anderson). Ma nonostante ciò il punto di forza di Borat rimane quella spontaneità, quei ritmi e quei tempi comici tipici del popolo della strada, di un certo approccio surreale, che vivono dell’immediatezza e della verosimiglianza, senza le quali l’effetto si smarrisce.
Il doppiaggio italiano massacra la pellicola proprio da questo punto di vista. Non tanto per la voce di Cohen, che Insegno riproduce quasi fedelmente, rispettandone tempi e battute, quanto per il cercare di restituire un senso cinematografico alle semplici persone della strada, smarrendo del tutto la dimensione documentaristica del girato, vero punto di forza di tutta l’operazione inesorabilmente (senza contare che un kazako che parla un inglese grottesco in America non potrà mai fare il paio con un kazako che adotta un italiano stentato nella Grande Mela).
Questo tipo di trasformazione, che smarrisce per strada le intenzioni del film, fa scivolare malinconicamente Borat nei confini del trash, rendondo così appetibili e gustose solo le sequenze di palese nonsense e quelle più smaccatamente ammiccanti.
Un’occasione persa, dai distributori, poco coraggiosi e lungimiranti nel lanciare il film sottotitolato, e dal pubblico pagante, che baratterà quattro risate a buon mercato con quella che in realtà è una pellicola geniale. [pietro salvatori]

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