Per l'appuntamento di marzo di “Viaggio nel cinema americano”, a cura di Antonio Monda e Mario Sesti, in collaborazione con Festa del Cinema, Studio Universal (Sky) e dalla Fondazione Cinema per Roma, un autore indipendente e controverso che quasi ad ogni suo film ha scatenato polemiche e severe reazioni censorie affrontando temi come la pedofilia, i pregiudizi razziali, la sessualità degli adolescenti: Todd Solondz. Narratore meticoloso e intransigente della vita di teenager di periferia (i suoi film sono spesso ambientati nel New Jersey, l'hinterland di New York, dove è nato), dopo aver fatto la gavetta nel cinema partendo dagli ultimi gradini (ha iniziato come fattorino) si è imposto da subito con lo stile di uno humor laconico, lucido e tagliente come un bisturi: i suoi film esplorano la solitudine, la sopraffazione nei rapporti interpersonali, la difficoltà di affrontare le frustrazioni sentimentali e sessuali come nello splendido Happiness (che negli USA fu addirittura ripudiato dalla sua distribuzione) o in Storytelling (una imbarazzante riflessione sull'arte di raccontare come tecnica per distorcere la verità) o in Palindromi (che ha realizzato investendo tutti i suoi risparmi perchè nessuna casa di produzione voleva scommetterci un dollaro).

Le scuole di cinema servono o no? Si può imparare il mestiere del cinema all’Università?
Dipende molto dalla persona. Io ho frequentato la New York University e l’ho fatto quasi come un gesto di disperazione dopo aver vissuto un paio di anni a Los Angeles ed aver fallito nei miei vari tentativi di scrivere sceneggiature. All’epoca quell’università non era così di grido e successo come lo è oggi e quando ci sono entrato ho pensato che fosse una scuola terribile, tremenda.
E’ sorprendete di quanto pensassi fosse terribile quella scuola ed ogni giorno riflettevo sul fatto che ci doveva essere un’alternativa da qualche parte. Cercavo continuamente possibilità di lavorare al di fuori dell’Università ed al contempo però avevo iniziato a fare dei corti che mi ha dato quel livello di fiducia in me stesso che non pensavo di possedere. Nonostante tutto continuavo a pensare che la scuola fosse tremenda e che si facesse pagare troppo e fosse sfruttatrice. Ma se non l’avessi frequentata non avrei potuto fare la carriera che ho fatto.
La cosa buona è che erano i miei genitori a pagarmi la retta. Erano molto eccitati che io frequentassi finalmente una scuola, dei corsi che potevano aprirmi la strada per una carriera. Io invece con grande orgoglio ho frequentato solo due dei tre anni previsti, cosa che ha creato molto disappunto nei miei genitori che pensavano che per avere una carriera avessi bisogno di una laurea.
In tutta onestà la scuola oggi è molto meno terribile di quanto non fosse quando l’ho frequentata io…

Lei è uno dei pochi registi che ha esplorato il mondo del New Jersey. Fino a che punto le vite descritte nei suoi film rispecchiano l’effettiva realtà?
Io sono cresciuto nel New Jersey. Anche se non è che ci sia qualcosa di così brutto e cattivo nel crescere li, non è stata una mia scelta. Una volta finito il college con un amico sono andato in giro a visitare il resto del paese e mi sono reso conto di quanti posti molto più brutti del New Jersey ci fossero in giro. Questo mi ha aperto la mente ed è buffo che quando realizzo oggi dei film ambientati nel New Jersey, mi accorgo soprattutto degli aspetti gradevoli di questa provincia, di questi sobborghi residenziali. Questo è il cuore vero del paese, che non sta nelle città ma nei suoi sobborghi. Più che attaccare questi luoghi sarebbe più interessante cercare di capire le seduzioni, l’appeal, l’attrazione che queste zone hanno.

La sensibilità, l’attenzione, la curiosità con cui lei esplora il mondo della sessualità degli adolescenti è un aspetto che caratterizza da sempre il suo cinema. Cosa l’attrae?
La parola attrazione non mi pace molto. Credo che i bambini, gli adolescenti nei film siano interessanti nella misura in cui ci dicono qualcosa di noi in quanto adulti. C’è un qualcosa di questa vulnerabilità nella vita di questi bambini di questa età che è così tenera ma anche così centrale che secondo me è rivelatrice…

Lei ha scelto di accostare una sequenza tratta dal suo Fuori dalla scuola media con Intrigo internazionale di Hitchcock. Ci spiega questa scelta?
Quando siamo andati in giro a fare sopralluoghi per trovare le location per il film, siamo stati fortunati a trovare una scuola che non ci è costata quasi nulla per l’utilizzo della struttura. Non potevamo essere quindi troppo sofisticati. L’unico problema era il seguente. Nella sceneggiatura c’è una scena in cui il bullo imprigiona in un angolo la sua vittima. Bene, nella scuola prescelta non esisteva un angolo buio, una tromba delle scale appartate, un anfratto qualsiasi scuro.
La scena che avevo scritto l’ho dovuta quindi modificare e per farlo ho pensato ad Intrigo Internazionale ed alla sequenza dell’attacco aereo nel deserto. E’ una sequenza in cui elementi come lo spazio e la luce vengono utilizzati per creare suspense e terrore all’opposto di quelli che sono gli elementi tradizionali come vicoli stretti, bui. Ho riscritto quindi la scena spostandola all’esterno, in una giornata bellissima, in un’ambientazione normale con sullo sfondo ragazzi che giocano in un parco, creando un contrasto tra una giornata bellissima e spensierata ed il puro terrore che vive la protagonista.

Lei sostiene che non esistono film che in realtà possono cambiare la vita di chi li vede o quanto meno non nella maniera in cui il regista vorrebbe che la cambiassero. E così?
La natura del cambiamento è un fenomeno molto misterioso e filosoficamente complicato. Un film dogmatico fatto per persuaderti, non raggiunge l’obiettivo. Un documentario come Fahrenheit 9/11 di Michael Moore sebbene abbia avuto molto successo, mi chiedo se ha veramente cambiato l’opinione anche di un solo spettatore… Ha spostato anche un solo voto? Io non lo credo perché anche se fosse stato visto da coloro a cui Bush piace, la loro interpretazione sulla reazione del Presidente durante la lettura della favola nella scuola sarebbe interpretata come una dimostrazione di sensibilità, di preoccupazione a non sviluppare terrore e paura in un momento di crisi.
Cambiare la vita di una persona è una cosa rara e difficile. Il cinema ha un grande potere e per esercitarlo non ha bisogno neanche di buoni film. Il cinema può farci guardare alla vita da una prospettiva a cui magari non avevamo pensato. Ci fa guardare la vita in maniera diversa in una prospettiva di cui il regista non è consapevole e di cui non ha alcun controllo.

Lei ha abbinato una sequenza tratta dal suo Happiness a L’ombra del dubbio di Hitchcock? Perché?
L’ombra del dubbio è un film di suspense ma anche una commedia. Questo psicopatico che va a trovare la famiglia nel cuore rurale dell’America crea questa connessione. Noi non possiamo scegliere cosa ricordare e cosa scrivere. Non credo molto al libero arbitrio in questa professione. Il processo di scrittura è un processo solitario; le cose o ti vengono in mento o non ti vengono. L’ombra del dubbio non lo vedevo da vent’anni ma mi aveva colpito in modo così profondo da non rendermene neanche conto. I film vanno ad installarsi, a piazzarsi nel retro, in una parte della mente in cui rimangono giacenti finché non si verificano situazioni in cui ti tornano in mente e risultano molto utili.

Happiness è un film che rompe un tabù: esplorare la vita di un pedofilo dall’interno della sua infelicità. Cosa che ha provocato grandi problemi e polemiche anche dal punto di vista distributivo della pellicola.
Quando scrivo un film non penso che il film romperà chissà quali tabù, o cambierà il modo di pensare e vedere il mondo da parte della gente. E’ importante avere una storia che abbia un senso, un significato con personaggi che mi interessano. Finita la sceneggiatura di Happiness l’ho presentata a diversi produttori. Non c’è stata la corsa al finanziamento del film, ma ho trovato un produttore pronto a produrlo grazie soprattutto al successo che avevo avuto con Fuga dalla scuola media. Alcune agenzie di attori hanno mandato una sorta di avvertimento ai loro attori diffidandoli addirittura di leggere la sceneggiatura e tanto meno di parteciparvi per il contenuto del film…
Io vivo in un mondo in cui la tv affronta questo tipo di argomento. Non c’è quindi nulla di nuovo nel fatto di affrontarli, solo il mio modo di affrontarli è diverso…
Riguardo all’uscita del film, Happiness è stato distribuito in tutti i 50 Stati americani ed in altre parti del mondo, ma utili io non ne ho visti, grossi risultati economici non ne sono venuti fuori come in tutte le cose che faccio. Ma mi sento comunque fortunato perché riesco a realizzare le cose quello che mi piace fare.

In Storytelling c’è una sequenza in cui uno dei protagonisti violenta una giovane studentessa, insultandola. Quella sequenza è stata coperta in giro per il mondo con un grande quadro rosso.
Voglio chiarire una cosa. Non è una scena di abuso di violenza sessuale. Questa è una cosa critica fondamentale per la storia del film. Quandanche lo fosse, da americano mi sento molto fortunato perché l’America è l’unico posto al mondo in cui è possibile avere questo bel riquadro rosso piazzato a coprire i due attori. Mi dicono che sul DVD c’è la doppia versione: quella in cui cliccando su un pulsante sparisce il riquadro rosso e vedi la scena nuda e cruda com’è, e quella in cui ciccando su un altro pulsante compare il riquadro rosso, così che la famiglia compresi i bambini, possono ascoltare il dialogo – “Negro, scopami duro!” – però non lo vedono.
Nel contratto firmato con gli Studios ho inserito una clausola con cui si impediva di tagliare alcunché dal film. Se fosse stato necessario modificare qualcosa per il visto censura, io volevo poter avere l’alternativa di inserire o i quadri rossi o i bip, ma nessun taglio. Ogni volta che rimuovi un’intera inquadratura, il pubblico non saprà mai cosa intendesse fare o dire veramente il regista. In questo modo invece il pubblico sa cosa il regista intendeva fare e cosa non gli è stato consentito intendere.

Come definirebbe allora la scena di Storytelling?
E’ di certo una scena di sesso. E’ moralmente complicata come scena, ma è una scena di sesso consensuale, non forzata. Se dovessi definirla, non la definirei tenera. E’ stata spaventosa da girare. I due attori sono stati molto coraggiosi, osando molto. Durante la prima ripresa io ho distolto lo sguardo, guardando da qualche altra parte, perché anche io ho il mio riquadro rosso personale. Poi l’abbiamo girata una seconda volta. E’ stata una scena terribile, tremenda, però in una maniera molto personale e perversa, è una scena molto divertente. Ha una sua carica, una sua verità, una frizione tra due impulsi diversi che si scontrano. E’vero, è orribile, ma oggi quando la riguardo da solo nella mai stanza, rido.

Alcuni critici hanno detto che i suoi film assomigliano a quelli di Woody Allen con il volume dell’angoscia messo al massimo.
Ma… che posso dire… suppongo che se abbasso il livello di ansia, farò più soldi.

Vista la difficoltà di realizzazione e distribuzione dei suoi film, non ha mai pensato di dirigere storie più commerciali scritte da altri per guadagnare soldi da reinvestire in progetti più personali?
Molte sono le cose possibili, maggiori quelle improbabili. Un po’ mi sono soffermato sull’idea di adattare qualche cosa. Proprio in questo periodo sto parlando con alcune persone di un progetto specifico. Non posso dire che sia particolarmente commerciale, ma almeno non è roba mia.

Filmografia

2004 - Palindromi

2001 - Storytelling

1998 - Happiness - Felicità

1995 - Fuga dalla scuola media