Milano-Palermo: il ritorno
[dichiarazioni raccolte da matteo cafiero]

Sig. Fragasso, stiamo assistendo a un interesse in tutto il mondo da parte dei produttori e del pubblico verso il cinema di genere, come ha deciso di rivitalizzarlo qui in Italia?
Allora innanzitutto mi presento. Sono Claudio Fragasso, strenuo difensore del cinema di genere fin da sempre. Come genere intendo tutto, assolutamente tutto, dalla commedia all'action movie, dal thriller all'horror. Da una parte perché è un prodotto che ha grandi potenzialità di esportazione, dall'altra perché siamo sempre stati considerati i migliori nel campo. Ma ultimamente tutto questo al cinema non esiste più e il genere ha avuto maggiore fortuna in tv. Bisogna procedere per tentativi, bisogna adeguare l'action movie alla dimensione italiana. Tutti fanno cinema di genere ma lo adattano alla loro realtà, pure i francesi lo fanno e hanno Luc Besson e nessuno si scandalizza. Gli americani sono i migliori, ma perché loro hanno i quattrini. Ma quello che mi fa arrabbiare è che i film americani possono essere incredibili, agli italiani chissà perché questo privilegio non è concesso. I film italiani devono essere sempre credibili, i critici italiani ogni volta devono storcere il naso e questo non mi sta bene. Grazie a Sergio Leone si può dire che gli italiani si sono imposti al mondo, ma adesso i produttori non vogliono più metterci i soldi. Io mi danno l'anima per fare film più forti, cha abbiano successo da noi e all'estero.

Milano Palermo il ritorno è distribuito dalla Buena Vista, un'importante major americana. Che disponibilità di mezzi e di soldi un'operazione del genere comporta? E cosa significa produrre un sequel ben undici anni dopo dal primo film? Come ha trovato gli attori dopo tanti anni?
A dir la verità anche Palermo Milano era distribuito da una major americana. I ragazzi della Buena Vista sono ottime persone, davvero in gamba e mi hanno aiutato nella direzione di adattare l'action movie alla realtà italiana. Sono svegli e preparati. Sanno cosa piace al pubblico e hanno fatto in modo di darmi tutto l'apporto necessario, lasciandomi libero di lavorare. Quanto agli attori, li ho trovati invecchiati. Erano più freschi prima. Comunque il progetto era in cantiere da anni, ma tra una cosa e l'altra eravamo tutti impegnati, chi in tv chi in altri film. Il film è nato da una serie di incontri con gli attori, si è trattato di un work in progress. Bisognava trovare una chiave narrativa sia dal punto di vista della regia che della recitazione che della sceneggiatura per allontanarsi dallo stile delle fiction. Ci voleva un'idea innovativa e forte e così c'è venuta l'idea dei bambini per traghettare la storia dal primo al secondo episodio. I bambini in un certo senso fanno da collante. Non volevo fare un semplice copia e incolla tra i due film. Ci voleva un'idea di base, altrimenti rischiavamo di girare un banale remake. Nel frattempo in questi undici anni è scoppiata l'industria televisiva e quindi quello che auspico è che ritorni anche in Italia il cinema di genere. Il rapporto con la Buena Vista è stato idilliaco, ci hanno aiutato a centrare lo scopo di quello che cercavamo di fare.

Raul Bova, lei come l'ha trovato il personaggio dopo undici anni?
L'idea di rifarlo è partita da Claudio, abbiamo molto lavorato sui personaggi per dargli spessore, per cercare diverse storie parallele per potenziare quella centrale. Non volevamo rovinare la bellezza del primo. Fragasso voleva farlo a tutti i costi, anche se noi eravamo un po' contrari e si può dire che l'abbiamo accontentato, anche perché come regista Claudio sa come imporsi e non puoi dirgli di no. Fragasso è l'unica persona insieme a Soavi a credere nel cinema di genere, difatti molte inquadrature sono un omaggio a Sergio Leone e ai suoi capolavori. Milano Palermo è un film che si rivolge ad un pubblico giovane, e ci sembrava opportuno farlo, e se ne parla talmente tanto bene in Italia, in rete, si sono formate diverse comunità, è diventato un vero cult, e l'abbiamo fatto anche per loro. Certo, tutti noi adesso abbiamo qualche capello bianco in più. E la cosa bella di questo cast è lavorare insieme con degli amici, sono ormai dieci anni che ci conosciamo, siamo molto affiatati e c'è molta sintonia e tutto questo non può che fare bene al film e penso che sullo schermo si veda.

Domanda per il regista. Che tipo di attesa c'è dal pubblico per un film come Milano Palermo? Come giustifica molte sequenze ai limiti del credibile? Non pensa che alla gente possa dar fastidio?
Con questa domanda, scatena il serpente che c'è in me!! Guardi, ricordo un episodio, quando giravamo Palermo Milano. Eravamo seduti al tavolo e stavamo ragionando sulla scena finale, era molto improbabile che in un'aula del tribunale entrasse la figlia del pentito, ero stato messo in guardia dai miei collaboratori, mi dicevano che non è la prassi, ma io volevo dare un certo effetto alla scena. Mi serviva per emozionare, vedere figlia e padre nella stessa scena in tribunale. Volevo chiudere il film con un colpo finale di larga portata. In quel momento prende la voce Giannini che ci racconta che aveva appena doppiato un film americano in cui c'era un cieco che guidava le Ferrari in giro per New York e nessuno ha detto che era poco credibile... Perché i film italiani devono essere credibili? Io devo rispettare il pubblico. Noi abbiamo avuto il neorealismo, ma quel tipo di cinema andava bene per quel periodo storico. Non si può raccontare l'Italia come se fossimo ancora nel 1945. L'aggettivo credibile ci è stato etichettato, e ci impedisce di fare i film come gli americani, ma il cinema è fatto anche di cazzate, scusate la volgarità. Io vado in un'altra direzione e gli attori per fortuna mi hanno seguito. Voglio esagerare nel genere ma stando attento a quello che racconto. Dopo la sequenza della sparatoria a Montecatini, l'Italia si sarebbe fermata, sarebbe intervenuto il Parlamento, ci sarebbero state polemiche, invece io avevo bisogno di andare avanti nel racconto, volevo fare scene ancora più forti.
Rossella Drudi (sceneggiatrice): La sceneggiatura è stata approvata dal Ministero degli Interni che ci ha seguiti e ci ha approvato le scene più spettacolari perché il cinema è finzione e...
Claudio Fragasso: Proprio così, il cinema è finzione e io non voglio essere castrato in partenza. Chi scrive deve essere libero, così come chi gira o chi recita. Non se ne può più di avere questi limiti, sennò si finisce a fare sempre il solito tipo di cinema che nessuno andrà mai a vedere.

Sig.ra Drudi, nella scena finale c'è un messaggio che sembra quasi una novità nell'action movie. Contro il boss si marcia tutta la popolazione e la polizia non è più da sola a combattere la mafia.
Sì effettivamente anche l'uso dei bambini è stato fatto in questa direzione, per raggiungere questo scopo, per allontanarci dal manicheismo tipico del genere, dove da una parte ci stanno i buoni e dall'altra i cattivi. Purtroppo ora si fanno solo le fiction, c'è un progresso nelle fiction che hanno una qualità sempre più cinematografica, come La squadra o Distretto di Polizia, mentre al cinema c'è una stasi, non c'è nessun miglioramento, si fanno i film come vent'anni fa. Un'altra novità è stata anche quella di mostrare il personaggio di Bova come padre tormentato che cerca di farsi accettare dal figlio di Romina Mondello. In generale vediamo che contro la mafia c'è un aumento di presa di coscienza da parte della gente. Il messaggio che abbiamo voluto dare nella scena finale con il bambino che si rifiuta di sparare è che si deve estirpare la mafia dalla mentalità della gente e abbiamo gettato le basi per un eventuale terzo episodio perchè uno è interessato a immaginare cosa può accadere quando i bambini cresceranno.

A proposito dei protagonisti bambini come ha lavorato con loro?
Claudio Fragasso: Come con gli attori. Per loro è un gioco, il cinema è un gioco. Ci vuole il bastone e la carota, loro hanno fatto una gran fatica, e avere a che fare con me non è mai facile, ci vuole molta pazienza, io sono un tipo irascibile...

I protagonisti di questo film sono poliziotti. Che ne pensa della polizia in questo periodo dopo quello che è successo in seguito agli scontri con gli ultras?
La polizia in Italia non se la passa bene, anzi si può proprio dire che sta male, io conosco personalmente molte persone che lavorano in polizia e sento i loro racconti, i loro sacrifici. Hanno un parco macchine fermo da mesi semplicemente perché non hanno benzina, non possono allenarsi al poligono perché gli mancano i proiettili. La situazione è esasperante e loro si sentono lasciati soli dallo Stato e dalla Società. In Italia da parte degli ultrà c'è una forma di odio contro le forze dell'ordine perché sono il nemico. Questa mentalità va cancellata. Non bisogna levare la polizia dagli stadi, non dico questo, anzi, perché la polizia non va negli stadi per reprimere ma per aiutare gli ultrà. Noi in questo film non vediamo mai il poliziotto in divisa, perché sono esseri umani, li vediamo in mezzo alla gente e non distanti dalla gente.

 
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