Tu nasci come attore e regista teatrale. Come sei passato a scrivere per il cinema?
La passione primaria è stato il cinema. Da piccolo nelle sale di quartiere ti vedevi 3/4 film di pomeriggio. Beccavi di tutto, dagli indiani a I sette samurai di Kurosawa, da Orizzonti di gloria di Kubrick ai film di Visconti…
Mi sono poi iscritto a fine Anni Settanta alla Scuola di Alessandro Fersen, regista di teatro che aveva questa scuola di regia e recitazione, anche se poi l’attore non l’ho mai fatto perché sono timido e non mi amo molto… Ho fatto molti aiuti in teatro, quello sperimentale lavorando con Grotowski, Kantor, Chaikin, Living Theatre. Poi un giorno ho visto Mean Street di Scorsese e sono letteralmente impazzito. Dovevo fare cinema. Ho fatto di tutto dall'autista, al caffè alla segretaria di edizione. Lavoravo molto perché avevo la macchina di mio padre, enorme, ed era considerata un valore aggiunto… Ho presto capito che scrivere sceneggiature era quello che volevo fare. Nel 2000 ho conosciuto Matteo Garrone. Vedendo lui, mi sono appassionato a questo talento e da Estate Romana in poi sono entrato nel suo team.

Come è nata la sceneggiatura di Pranzo di ferragosto?
Nasce dal mio rapporto, io figlio unico, con mia madre. Ho vissuto a partire dagli Anni Novanta fino al 2000 con lei e conosciuto il mondo degli anziani, la loro forza, passionalità ma anche fragilità rispetto ai sentimenti, agli abbandoni estivi. Un giorno è venuto veramente l’amministratore di condominio. Mi ha detto:”ti lascio le chiavi, mia madre è in casa, tu un’ora al giorno vai giù, ti fai una canastina, vedi se ha mangiato dopo cena. Io ti scalo i debiti.” Nella realtà non l’ho fatto, ma ho iniziato pensare a quello che sarebbe potuto succedere, su un tema un po’ difficile, ostico che senza il coraggio di Matteo Garrone non si sarebbe mai fatto. Volevo fare un film sull’argomento in maniera lieve, ridendoci sopra un po’ per esorcizzare anche la mia esperienza…

Ci ha messo quasi otto anni a realizzarlo…
Nessuno credeva in questo film, nonostante tutti ridessero alla lettura del copione. Poi grazie a Matteo abbiamo fatto richiesta al Ministero ed una volta ottenuti i finanziamenti, meno di quelli che avevamo chiesto, siamo partiti. Ma è stato molto sofferto non lo nascondo… In seguito è entrata la Fandango come distributore ed anche Rai Cinema. Ma sono molto contento perchè lo stiamo vendendo molto bene all’estero (Austria, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia, Germania molto probabilmente) e c’è una rispondenza di pubblico incredibile. E’ un film raffinato per atmosfere ma allo stesso tempo estremamente popolare.

Punto di forza del film sono le quattro incredibili signore. Dove le ha trovate?
Un paio le conoscevo: una, quella che fa mia mamma, ha 93 anni. E’ una signora amica di famiglia che aveva una piccola parte in Estate Romana di Matteo Garrone, dove l’avevamo chiamata per dire cinque parole cinque ed invece è partita con un pezzo di almeno 3000… è rimasta impressa sia a me che a Matteo.
L’altra quella che mangia sempre ma non potrebbe mangiare è mia zia nella vita, che fa 90 anni a Natale. L’ho corteggiata moltissimo, andavo tutti i pomeriggi e lei mi diceva: “Che cosa vuoi da me?” Alla fine ha detto di si nonostante le ripetessi che sarebbe stato faticoso. Lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, io prendo l’autobus… in fondo tu stai a Trastevere, io a Piramide…”
Le altre due signore le abbiamo trovate rispettivamente al centro anziani di Ostia (Marina) e del Tuscolano (Maria, la signora della pasta al forno). Ne ho viste un centinaio. La sera a fine lavoro io ero distrutto e pieno di dolori mentre loro invece erano entusiaste, dando un’energia pazzesca al film che io ho rubato alle loro personalità.

Come si sono comportate sul set?
Avevo capito che la sceneggiatura con loro era inutile. Quando la vedevano si mettevano a ridere. Allora l’ho presa e messa da parte. Davo loro un canovaccio che dovevano seguire, spiegando cosa doveva succedere, fissando alcuni paletti e poi loro andavano a braccio. Noi entravamo dentro con la macchina da presa e lì avveniva quella fusione di rubare un po’ il reale… Ci sono scene letteralmente rubate, come quando si leggono la mano. Erano così naturali che dopo pochi minuti si scordavano che stavamo girando e si mettevano a parlare della loro vita. Per fortuna che in quell'occasione la sequenza del girato andava bene… Molte delle atmosfere del film sono venute fuori dalle loro simpatie ed antipatie.

Spesso nel cinema italiano i dialoghi appaiono forzati, troppo letterari. In Pranzo di ferragosto invece costituiscono una partitura perfetta. Come ha fatto?
Io il dialogo lo vedo come una traccia. È meglio scavare nella persona e fargli dire la battuta come gli viene meglio piuttosto che stringerlo in uno schema. Il rischio della retorica e della battuta letteraria c’è… Io mi regolo dagli attori che trovano il modo di dire una determinata cosa nella maniera a loro più congeniale. Bisogna abbandonare lo schematismo di dire le cose precise. Il cinema è movimento, dinamismo…

 

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