Il conto della storia

[fabio melandri]

Renzo Martinelli

In occasione dell'uscita italiana di Il mercante di pietre (Medusa Film, 220 copie) abbiamo incontrato il regista Enzo martinelli in conferenza stampa in compagnia dell'attore americano Harvey Keitel che interpreta il mercante del titolo.
Martinelli è un regista che ama occuparsi di temi caldi ed attuali come le foibe in Porzus, la diga del Vajont in Vajont ed il caso Moro in Piazza delle Cinque Lune.
Oggi, quanto mai di attualità, si occupa con questa sua ultima fatica del terrorirsmo di matrice islamica, con un cast internazionale che vede il già citato Keitel in compagnia di F. Murray Abraham, Jane March, Jordi Mollà, in attesa di ritronare sull'argomento con un kolossal storico su Marco da Aviano.

C’è una frase nel suo film che dice: “Anche noi siamo responsabili delle morti causate di AL Qaeda.” Vuole spiegarci meglio questo concetto? Ed ancora, a che punto è il suo prossimo progetto di film su Marco da Avano?
Per capire il presente è necessario conoscere il passato. Il rapporto tra Occidente ed Islam ha seguito e segue tutt’ora una curva sinusoidale. Per capire la situazione attuale bisogna partire da un altro 11 settembre, l’11 settembre del 1863. Quell’anno partì da Istanbul la grande offensiva dell’Impero Ottomano al cuore dell’Europa. Obiettivo, conquistare Vienna per poi scendere verso Roma e trasformare San Pietro in una grande Moschea. Un esercito di 300.000 ottomani mise d’assedio Vienna che resistette eroicamente. Ed all’alba dell’11 settembre un esercito di 80.000 cristiani capeggiato da Marco da Aviano riuscì a sconfiggere l’esercito ottomano. Bene quella sconfitta non è stata ancora dimenticata dal mondo islamico. Questo per dire che l’Occidente ha le sue responsabilità ma non gli si può attribuire il primigenio del conflitto con parte del mondo islamico. Mondo islamico che è molto più sfaccettato e meno omogeneo di quanto la stragrande maggioranza degli occidentali può pensare e Bin Laden rappresentare. Ma una soluzione a questo conflitto esiste e si trova nell’enciclica di Papa Benedetto XVI. Dio è Amore. Se l’Europa non sbandiera con forza questo messaggio di Amore, non difende con forza i valori cristiani delle sue radici come la difesa imprescindibile della vita, dimostrerà tutta la sua debolezza come accadde nel 1683, ed alla fine la storia presenterà il suo conto. Riguardo al progetto su Marco da Aviano, la sceneggiatura è pronta, siamo alla fase di ricerca dei finanziamenti.

Lei a qui detto che il mondo islamico è molto sfaccettato e che non tutti gli islamici sono terroristi. Nel film però l’immagine che viene rappresentata dell’Islam è abbastanza univoca.
La sceneggiatura è stata sottoposta all’attenzione di due consulenti mussulmani che ne hanno verificato ed approvato ogni parola. Bisogna distinguere islamisti e mondo mussulmano ed è una differenza che a mio parere emerge nel film. Il mondo mussulmano è variegato: sciiti, sanniti, salatiti, wahabiti. Sfido molti di voi a saper cogliere le differenze tra questi gruppi. In realtà il terrorismo islamico è riconducibile principalmente ai wahabiti, movimento fondato nel XVIII secolo da Mohammad ibn Abd al-Wahab, a cui appartiene la Famiglia Regnante Saudita e lo stesso Bin Laden. Il mio sforzo era di cercare di capire le radici di questo odio verso l’Occidente.

Una domanda ad Harvey Keitel. Chi è Ludovico Vicedomini, e per lei americano, ha avuto problemi nell’affrontare questo ruolo?
Voglio fare una premessa. E’ stato per me un onore aver fatto parte di questo film, che ha cercato con coraggio di affrontare il conflitto tra Jihad e Occidente. Ludovico Vicedomini, il personaggio che interpreto, è tutti quanti noi. Tutti noi possiamo diventare come lui. E’ quella parte di noi stessi che diventa dura, intollerante contro gli altri. Ma la soluzione esiste. E’ necessario mantenere un continuo dialogo tra le persone, discutere in maniera umile.

Martinelli, nel film si parla di arabi in preda a deliri di onnipotenza e di mussulmani prime vittime dell’Islam. Al contrario di quanto emerge oggi qui in conferenza stampa, il film sembra trattare con una certa superficialità l’argomento.
Io attribuisco al mio cinema un valore maieutico. Amo fare e vedere un cinema che faccia pensare, che stimoli il dialogo, che apra sentieri di discussione. Non posso andare troppo in profondità perché il film segue regole drammaturgiche e narrative precise. Altrimenti avrei fatto un documentario alla Michael Moore, che va bene ma è un’altra cosa. Se anche un solo spettatore alla fine del film sente l’esigenza di andare a prendere un libro per documentarsi su queste vicende, per me il risultato sarebbe stato raggiunto. Io faccio il film-maker, pongo quesiti non do risposte che spettano al mondo politico.

Il suo è un cinema che può piacere o meno, ma le va riconosciuto il coraggio di trattare temi sempre molto caldi, mettere le mani in ferite ancora aperte. Non teme reazioni, anche violente, a causa di questo film?
Ricevo minacce dai tempi di Porzus che sono continuate dopo Piazza delle cinque lune in cui ho dimostrato dati alla mano, come la ricostruzione fatta del rapimento Moro sia piena di buchi ed incongruenze. Per questo sono finito nel mirino delle Brigate Rosse. Il mio ufficio è stato misteriosamente messo a soqquadro da atti vandalici. Da parte di chi? Mistero… Io sono abbastanza fatalista. Se un fanatico islamico decide di entrare nella mia vita, io non posso farci nulla. Di certo, io giro armato…

Signor Keitel, lei americano e di New York. Cosa la spinta ad accettare questo ruolo, il personaggio o qualcosa d’altro?
Ritengo questo film un punto di partenza per la discussione su queste tematiche. E’ l’inizio di un percorso in cui tutti noi siamo coinvolti. Giornalisti, romanzieri, registi, attori siamo tutti cittadini del mondo, un mondo che richiede la nostra partecipazione. Ma bisogna essere capaci di ascoltare quello che ci viene detto. Io ammiro molto Martinelli per come lotta per far sentire la sua voce anche se poi posso non essere completamente d’accordo su tutto quanto afferma. Vi racconto solo un episodio. Quando ero ragazzo ho servito il mio paese nei Marines. Dopo sono andato a Manhattan ed ho iniziato a frequentare il teatro e gente dell’ambiente. Erano gli anni della contestazione alla guerra in Vietnam. Io da ex-marine ero convinto che bastasse mandare l’esercito per risolvere il problema, ma i miei compagni e la mia stessa ragazza dell’epoca non capivano la mia posizione; ed io non capivo la loro. Poi mi hanno fatto leggere un libro ‘L’arroganza del potere’ e le cose sono cambiate, iniziando a sfilare anche io contro la guerra.

Signor Martinelli, ci può spiegare a livello di sceneggiatura la presenza contemporanea sul traghetto del kamikazen suicida e della colomba? La logica direbbe o l’una o l’altro.
La scena dell’attentato al porto di Dover con una così detta “bomba sporca” è entrata alla sesta ed ultima stesura della sceneggiatura. Mi sembrava eccessivo, ma poi ho letto un trafiletto su un giornale su un traffico di uranio per tale scopo. La presenza di entrambi è duplice. La colomba aveva il compito di portare la bomba sul traghetto. La presenza del kamikazen è dovuto al fatto che non era possibile attivare il congegno esplosivo telecomandandolo da Calais, troppo lontano. Inoltre la presenza dell’attentatore doveva dare il segno dell’ineluttabilità delle cose ed inoltre avendo fabbricato lui stesso l’ordigno ed essendo venuto a contatto con le radiazioni, era un uomo già condannato.

 
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