L'amore fatale

[sara lucarini]

Autore
Ian McEwan
Prima edizione
Einaudi 1997
Pagine
280
 
Regia
Roger Michell
Sceneggiatura
Joe Penhall
Fotografia
Haris Zambarloukos
Montaggio
Nicolas Gaster
Musiche
Jeremy Sams
Interpreti
Daniel Craig, Rhys Ifans, Samantha Morton, Bill Nighy, Susan Lynch
“Per quanto scientificamente informati possiamo considerarci,timore e rispetto continuano a
sorprenderci in presenza dei morti. Forse è in realtà la vita che non comprendiamo.”
Ian McEwan

Che cos’è che si rivela fatale nell’amore? L’amare troppo e incondizionatamente? L’amare secondo convenzioni, approssimativamente, senza tante domande? Questa confusione entrerà nella mente di Joe e lo porterà a mettere in discussione la sua intera vita.
Tutto ha inizio su un prato nei pressi di Oxford. Joe si appresta a stappare una bottiglia di spumante insieme a Clarissa. Il silenzio e la pace vengono interrotti dall’arrivo di una mongolfiera incontrollata con a bordo un bambino, che, preso dal panico, non riesce a saltare giù. Joe, insieme ad altri uomini accorsi, tenta di salvarlo. Uno di loro morirà cadendo.
Da quel momento la vita di Joe subirà un repentino cambiamento: divorato dai sensi di colpa per quella morte e ossessionato dalla presenza di Jed Parry, uno dei soccorritori, fanatico religioso e innamoratosi di lui perdutamente.
Dal momento dell’incidente niente sarà più come prima e la vita del protagonista sembra dividersi in due: la sua vita privata e l’ossessione dell’omosessuale. I primi tre minuti del film sono spettacolari. L’incidente con la mongolfiera acquista tutto il valore che gli spetta (già nel libro gli erano dedicati i primi due capitoli).
Sarà da lì che tutti gli eventi scaturiranno. Le vite si intrecceranno, le storie cambieranno. Nasceranno sospetti e presunti segreti. Fino ad arrivare alla conclusione che non c’era niente di oscuro. Ma che tutto è stato tremendamente banale. L'inizio travolgente, così come lo era già nel libro, fa da fulcro all’intera vicenda, sembra il detonatore per i fatti che seguiranno. In realtà assume un senso ben più simbolico. Quegli uomini falliscono, perché il vento repentinamente cambia e li travolge. Perché quella mongolfiera li solleva da terra e li priva delle loro certezze e delle loro stabilità. Perché perdono il controllo della situazione e della loro stessa vita. Perché nel momento del pericolo, mollano la presa e abbandonano la sfida. È la scena iniziale ad essere fatale. Quello che verrà dopo a tratti sembra pura immaginazione della mente di Joe. Tutto il logorio mentale del protagonista non farà altro che allontanare i due innamorati. Joe non riuscirà a coinvolgere la ragazza. Clarissa non riuscirà a capire la situazione. La macchina da presa si muove silenziosa nella vita dei protagonista, li segue nella loro quotidianità, li spia nel loro disfacimento.
Michell riesce a trasportare molto bene sullo schermo un libro non facile da raccontare visivamente, perché interamente svolto nella mente del protagonista e non semplice da rendere per i suoi monologhi interiori. Cambiato il lavoro svolto da Joe: da giornalista frustrato nel libro, a professore universitario, che illustra le proprie disquisizioni sull’amore ai suoi allievi. Cambiata la professione della fidanzata: accademica nel libro, scultrice di facce nel film. Una trovata felice per la sceneggiatura, perché tramite l’immobilità della creta, si rende la progressiva ambiguità delle loro vite e lo sdoppiamento di personalità di Joe. Introdotti nuovi personaggi, amici con cui parlare del fatto, alleggeriscono la sceneggiatura, altrimenti troppo cerebrale, proponendo momenti di confronto che contribuiscono a far emergere il malessere della coppia. Al riguardo il film ci offre una scena bellissima, una serata tra amici, che diventerà il pretesto per dichiarare la fine della storia tra Joe e Clarissa. È il momento della disfatta, della constatazione della fine. Il regista ci rende partecipi dandoci la sensazione di essere seduti su quel divano, condividendo l’imbarazzo generale che ne deriva.
Il bel libro di McEwan riesce a trovare il suo giusto compimento sullo schermo. Film e libro riescono a coesistere, a muoversi seguendo un filo comune fino ad arrivare al punto in cui scelgono strade diverse e parallele. La scrittura e la regia riescono in ugual modo a condurre la narrazione su due piani ambivalenti, dal thriller psicologico al dramma personale. La spiegazione più palese del significato della storia la si trova nel titolo originale di entrambi: “Enduring Love”, l’amore imposto o l’amore infinito.
Amore imposto perché soggetto a obblighi e doveri, a convenzioni dettate dalla società. L’amore che ha il suo compimento nella proposta di matrimonio, nella nascita di figli, nella convivenza. L’amore duraturo è quello alimentato dal dubbio, dall’incertezza, dalla mancanza di pretese, dal puro sentimento privo di richieste sessuali? L’amore duraturo è quello di un folle? Di un malato di mente che rimane in attesa di un segnale, qualunque, chiedendo nulla in cambio? Quello di Parry che giura amore eterno senza la pretesa di alcuna garanzia per il futuro, che vive in un’attesa senza quantificarne il tempo? Bisogna essere matti per riuscire ad amare per sempre? Esiste un amore puro e allo stesso tempo sano?
Molte volte nel libro Joe e Clarissa si ripetono “ho sempre pensato che il nostro fosse un amore di quelli che durano.” E invece si sono trovati sprofondati all’interno delle loro complessità e fragilità. Non hanno saputo restare accanto. La certezza ha procurato tanta sofferenza. “L’inizio è facile da individuare.” Così comincia il libro. Quasi una premonizione. Un appunto. La necessità di delineare l’inizio degli eventi che avrebbero poi portato alla fine.

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