anno 1
numero 2
settembre 2004

The Peter Weir Show

[giulia marcucci]

Peter Weir con la redazione de
Il Grido (Sara e Giulia)

L'intervista che segue è tratta dall'incontro con il regista australiano tenuto nella splendida cornice del Castello dell'Imperatore di Prato, il 29 Giugno scorso.

I primi suoi film sono stati realizzati in Australia, poi con Witness - Il testimone ha iniziato a lavorare negli Stati Uniti. Quali sono le novità che ha dovuto affrontare dopo l'arrivo in America?
Al momento dell'arrivo negli Stati Uniti avevo realizzato cinque film oltre ad alcuni lavori per la televisione. Innanzitutto credo sia opportuno arrivare negli States con un po' di esperienza o almeno informazioni approfondite sulla realtà americana.

Perciò prima di iniziare a girare Witness mi sono documentato leggendo molti libri sui pericoli di Hollywood e ho capito che sarebbe stato basilare non cadere vittima delle mie ambizioni.
Successivamente ebbi tre appuntamenti fondamentali: col produttore, con la star (Harrison Ford) e infine col responsabile degli studi. Ci siamo accordati velocemente, ma nacque in me l'esigenza spontanea di raccontare 'a voce' la storia, anche se tutti la conoscevano già attraverso la sceneggiatura. Ho la convinzione che le parole riescono meglio della 'penna' a spiegare circostanze, sensazioni, emozioni. Il produttore immediatamente sottolineò che il mio compito era mettere in scena delle storie che mi venivano assegnate e non viceversa. Iniziai comunque a descrivere il film come se fossi stato un cantastorie del Medioevo, enfatizzando le situazioni: il vento che soffia, i carri che a fatica avanzano, sembrava un pezzo d'epoca, mentre invece tutto era ambientato nei tempi moderni.
Alla fine la maggior parte dei presenti ebbe il coraggio di dire che c'era maggior chiarezza nel racconto che nella sceneggiatura. Dunque non è possibile pensare di lavorare in America se non si è totalmente dentro la storia che si vuol raccontare, questa deve essere in te come se scorresse nel tuo sangue, come se fosse un fuoco interiore. Ma non dimentichiamo che è utile anche un pizzico di fortuna!

A quale dei suoi film è più legato?
Gallipoli è stato un film molto toccante e impegnativo in quanto narra vicende connesse alla Prima Guerra Mondiale, intrecciando la storia 'del mondo' con quella dell'Australia. Perciò questo lavoro è divenuto particolarmente indimenticabile. Bergman diceva: "Nel cinema puoi sospendere l'incredulità, tranne che con la morte." Questo film è stato fatto per dimostrare che Bergman non sbagliava!

Come nascono le sue sceneggiature? Dove trova l'elemento base per costruirle?
Il tipo di lavoro che preferisco è quello fatto in collaborazione, in squadra. Fondamentale è stato leggere un libro del celebre drammaturgo francese Jean Claude Carrière Il linguaggio segreto del cinema. Per scrivere una sceneggiatura bisogna usare la parte sinistra e la parte destra del cervello, ovvero la logica e l'inconscio. Si deve accendere la 'lampadina'.
Spesso gli articoli dei quotidiani mi danno variegati input, infatti il mio primo film nasce da una notizia che lessi circa un omicidio con arma da fuoco, accanto c'era un piccolo trafiletto che parlava di 23 morti in un incidente autostradale. Da questo ne ho tratto che se vuoi uccidere devi farlo con l'auto!

In che modo ama lavorare con gli attori? Come costruisce il casting?
Quando costruisco il casting mi trasformo in un investigatore e mi impegno a scoprire i variegati aspetti dell'attore, che prima di essere tale è semplicemente un individuo. Durante i provini partecipo attivamente per conoscere il più possibile dell'attore, ma soprattutto la sua reazione nei momenti in cui il regista non è dietro la macchina da presa. Questo è un test basilare per me.
Ritengo il casting fondamentale per la perfetta riuscita di un lavoro cinematografico. Se si ha un'ottima idea e un buon cast è possibile persino avere una sceneggiatura con qualche difetto. Se la scelta degli attori è azzeccata non c'è molto altro da fare.

Quanto influisce il luogo, la 'location', nella sceneggiatura e nelle riprese?
Sono molto sensibile alla geografia, alla natura, agli edifici e all'atmosfera dei luoghi. Preferisco lavorare in un luogo piacevole e per non più di quattro ore al giorno.
Ma purtroppo esistono luoghi impossibili da filmare, quindi talvolta è necessario concentrare l'essenza in studio, ricreando il contesto.

È d'accordo con l'espressione di Peter Bogdanovich: "Alla fine ogni regista fa sempre lo stesso film"?
In ogni mio lavoro c'è l'impegno di spaziare il più possibile, anche se alla fine è inevitabile che nei suoi film il regista lasci la sua impronta digitale. Ogni lavoro è come un figlio.

Che atmosfera si respirava sul set de L'attimo fuggente, un film divenuto cult movie in Italia?
È stata un'esperienza umanamente e professionalmente meravigliosa, c'era una particolare energia nella troupe e l'atmosfera era quella che emerge dal film. Lavorare con giovani attori non professionisti è stato notevolmente stimolante, innanzitutto per l'autenticità dei rapporti che si è creata sul set.
Sono felice quando penso al fatto che gli attori sono ancora uniti dopo tanti anni dalla fine delle riprese. A riscaldare gli animi e conseguentemente l'aria hanno contribuito le numerose feste popolari che si svolgevano nel Paese dove stavamo girando.

Vede differenze tra i giovani de L'attimo fuggente e i giovani di oggi?
La differenza sostanziale è che la generazione di oggi è evidentemente conformista, inquadrata ed esageratamente abituata agli stimoli del pre-linguaggio fin dall'infanzia. In passato non era così, semplicemente per l'assenza di mezzi come quelli contemporanei.

Come sono state girate le scene di battaglia in Master & Commander?
È stato un mix fra bassa e alta (digitale, C.G.I.) tecnologia. Alcune scene sono state girate in una grande vasca, in quanto girare in mare richiedeva più tempo e soprattutto sarebbe stato meno realistico.
La sfida maggiore era mostrare i movimenti del vascello, la soluzione fu semplicemente di muovere la m.d.p. da una barca davanti al vascello. Un'altra tecnica 'bassa' utilizzata è stata quella di rovesciare acqua sulla nave, per dare l'idea di tempesta. Sono state fatte circa 700 riprese di navi in miniatura con la tecnologia digitale e C.G.I.; è stato come tornare a scuola.
La mia preoccupazione maggiore riguardava i tecnici, i quali provenivano tutti da esperienze nel fantasy (la tecnologia usata era C.G.I.), che dovevano invece lavorare con elementi naturali. All'inizio, infatti, le immagini delle riprese venivano troppo belle e pulite ed i costi erano altissimi. Per fare Master & Commander sono stati necessari tre anni: un anno per la scrittura, uno per filmare e l'altro per il montaggio.

Qual è il suo punto di vista sulla computer grafica e sugli effetti speciali? Le ritiene tecnologie necessarie oppure sarebbe possibile tornare all' "artigianato"?
Le giovani generazioni sono cresciute con videogames e derivati, perciò la tecnologia C.G.I. risponde perfettamente alle loro esigenze. Ad esempio, Master & Commander ha necessitato di 730 inquadrature in C.G.I., solo grazie a innovazioni tecnologiche come quelle degli ultimi anni si è potuta rendere film una storia che prima era impossibile raccontare così fedelmente attraverso fotogrammi. Citando Hitchcock: "Bisogna tenere l'attenzione del pubblico in ogni modo, se costa meno è meglio!"

Esiste un legame tra il fatto che in molti dei suoi film il protagonista esce sconfitto alla fine della storia e la scelta di attori in momenti critici della loro carriera?
Harrison Ford, Robin Williams, Jim Carrey nella fase in cui li ho incontrati sentivano il bisogno di dare una svolta alla loro fama. Ad esempio Harrison Ford voleva far allontanare il pubblico dall'immagine di Indiana Jones. In Witness-Il testimone sono state perciò unite le esigenze dell'attore con le mie idee e conseguentemente si è creata un'intensa sinergia tra me e in questo caso Harrison Ford, come se entrambi avessimo il desiderio di volare, di volare verso l'ignoto. Così si è riusciti insieme a creare progetti sorpendenti.

Come è nata l'idea di The Truman Show, un tema così attuale ai giorni nostri?
L'idea è stata dello sceneggiatore Andrew Niccol, il regista di Gattaca, anche se il concetto su cui mi baso in ogni mio lavoro è di un regista che collabora con lo sceneggiatore. Un regista è uno scrittore. Ricordo un commento di un critico di New York: "Non funzionerà mai! È impossibile tollerare di vedere gente che non fa niente!"

Ha mai pensato ad un film low budget, anzichè ad un kolossal, magari solo per soddisfare un sogno a scapito del successo?
Da circa dieci anni sto analizzando un progetto, ma la situazione è notevolmente complicata. Master & Commander ha avuto a disposizione un budget elevato ma soprattutto è stata la passione l'elemento essenziale per la riuscita del film. È probabile che il prossimo film sia a low budget, ma le complicazioni, come ripeto, sono molte, quindi non ne ho ancora la certezza.

Ha mai provato insoddisfazione nella sua carriera?
Quello del regista è un lavoro pericoloso e richiede una particolare attenzione. Nel mondo del cinema due occhi non sono mai sufficienti, perciò bisogna essere vigili in qualsiasi momento e in qualsiasi contesto. Mi piace paragonare il mio lavoro a quello dell'alpinista: "ogni errore può essere fatale".

Durante la sua carriera ha toccato variegate tematiche. In questo momento, quali crede che siano le tendenze da elaborare, considerata la pochezza di idee soprattutto a Hollywood?
La mia risposta può sembrare banale, facile, ma sono convinto che sia compito di tutti noi e tutti voi trovare idee e concetti da sottolineare. Non è possibile nascondere le diverse crisi che sta attraversando il cinema, ma non dobbiamo dimenticare che il mondo ha ancora molto da raccontare!