anno 1
numero 2
settembre 2004

Un regista per tutte le stagioni: Manoel De Oliveira

[giuseppe panella]

La 61ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia omaggia con il Leone d’Oro il maestro del cinema portoghese.

Il Leone d'Oro alla carriera che Manoel De Oliveira riceverà quest'anno a Venezia rappresenta una sorta di premio ad un "miracolo vivente" quale è stata la vita stessa del regista portoghese.
Il "decano" (ha 96 anni quasi compiuti) dei registi di tutto il mondo ha avuto finora un destino assai strano: nato il 12 dicembre 1908 a Oporto, la sua prima partecipazione alla lavorazione di un film con un ruolo secondario di attore è del 1928.

Corridore automobilistico fino al 1940, ballerino provetto, poco propenso agli studi severi, il suo grande amore si rivela da subito il cinema e nel 1931 a 23 anni gira il suo primo film: Douro, Faina Fluvial (Douro, lavoro fluviale). Il cortometraggio va male e per dieci anni De Oliveira resta fermo per mancanza di finanziatori (non certo di idee).
Nel 1942 invece gira uno dei suoi film più belli, Aniki-Bóbó, splendida storia di bambini e di periferia dove il taglio quasi documentaristico e "neo-realistico" dell'ambientazione si fondono con una condotta straniata e straniante della recitazione e della vicenda: la storia, minima ma intensa, di un bambino che ruba una bambolina per regalarla alla ragazzina di cui è innamorato e poi rischia di essere travolto dai sensi di colpa è raccontata splendidamente. Il film, ovviamente, non rientra nei canoni estetici del regime fascista di Salazar e il regista rimane quattordici anni senza poter girare. Nel 1956 rientrerà in gioco con due documentari (O pintor e a cidade - Il pittore e la città, 1956 e O pão - Il pane, 1959) ma il suo primo vero film dopo Aniki
-Bóbó sarà Acto de primavera del 1963, film-documento sulla recitazione della Passione di Gesù da parte degli abitanti del paesino di Curalha. Dopo l'arresto nel 1963 e una detenzione di qualche mese nelle carceri della polizia politica (la famigerata PIDE), De Oliveira gira un corto desolato e pessimista, A caça (La caccia) celebre per il finale (fatto poi cambiare dalla censura) in cui la mano della vittima di una palude con sabbie mobili si rivela alla fine un moncherino inutilizzabile.
Ma la "vera" carriera di cineasta di De Oliveira inizia soltanto ora nel 1971; con la cosiddetta ‘Tetralogia degli amori frustrati’ il non più giovane regista (ha 63 anni!) inanella quattro film che gli valgono il rispetto e la fama in Europa. Sono Il passato e il presente (1971), Benilde o La Vergine Madre (1975), Amore di perdizione (1978) e Francisca (1981), forse uno dei suoi più belli e intensi, sintesi qual è di narrazione classica e sperimentazione linguistica. Da allora non si fermerà più (né ha intenzione di farlo tuttora): venti film in ventitré anni sono quanto neppure il più fiducioso degli uomini avrebbe potuto sperare per una carriera iniziata tanto in ritardo.
La sua filmografia contiene anche uno dei film più lunghi della storia del cinema (La scarpina di raso del 1985, ispirata a un dramma di Paul Claudel, che dura ben 415 minuti!). E molti altri suoi film non scherzano affatto in quanto a durata: Amore di perdizione dura 261', Francisca 166', La valle del peccato (Vale Abraão del 1993) dura 187' (ma ce n'è una versione lunga 203' più amata dallo stesso regista), Parola e utopia del 2000 è di 133' mentre La Divina Commedia del 1993 è di 140'.
Di tutti questi film De Oliveira è poi autore assoluto: sceneggiatura e regia sempre, spesso anche il soggetto sono suoi. La capacità di lavoro di questo grande Vecchio sembra a tutt'oggi incontenibile. E la speranza degli appassionati di cinema è che non si fermi ancora.