anno 1
numero 3
novembre 2004

Celluloide

[sara lucarini]

"Così, paisà, è cominciata la fortuna del cinema italiano,
ma chi se ne ricorda?"

La celluloide, componente della pellicola degli inizi, era un supporto flessibile e resistente, ma altamente infiammabile. Oggi l'ha sostituita il triacetato di cellulosa o il poliestere. Come la pellicola, anche i personaggi di questo libro sono protagonisti di vite instabili, ma animate dal fuoco della passione, sia amorosa sia cinematografica. E come la pellicola, tutto era estremamente precario. Ma tale precarietà era la sfida da raccogliere per ambire al successo.
Ugo Pirro (giornalista, commediografo, romanziere, sceneggiatore) ha racchiuso in questo libro prezioso una storia, che è diventata testimonianza italiana della II° Guerra Mondiale. Un libro dalle

molteplici valenze. È una biografia, quella di Roberto Rossellini e di tutti coloro che con lui, inconsapevolmente, contribuirono alla nascita del Neorealismo. È il racconto della genesi, delle difficoltà e del successivo trionfo del film Roma città aperta, ma anche di tutta un'intera stagione del cinema italiano; della rinascita dopo le difficoltà della guerra; della creazione di un nuovo tipo di arte, che non si limitava solo a parlare al popolo, ma attraverso di esso trovava voce. Mentre la narrazione scivola via fluida, alternando il tono storico a quello colloquiale, le immagini ci passano davanti come fotogrammi di un film conosciuto. Vita privata e vita artistica si fondono ed è impossibile (e insensato) separarle, perché l'una condiziona l'altra e viceversa. I personaggi sono come i protagonisti di un romanzo. Ma il lettore non deve immaginare quelle facce, quei luoghi, quei fatti, perché ancora prima di essere stati descritti, sono esistiti, fuori e dentro lo schermo. È la storia di una vita favolosa, parallela a quella reale, che però ha tutte le caratteristiche di quest'ultima. È il periodo in cui Cinecittà è un rifugio per i senzatetto, in cui gli americani saccheggiarono gli studi. Sono gli anni degli ‘sciuscià’, spiati da De Sica, e dei ‘ladri di biciclette’, tra la paura di mostrare la realtà italiana e il desiderio di dare voce a quella sofferenza. Quello che Pirro ci racconta è un momento del cinema italiano, è un resoconto storico, è una bellissima biografia, ma soprattutto è una straordinaria avventura. L'avventura di un cinema che stava nascendo dalle ceneri della guerra, un cinema povero, ‘stracciato’, senza divi, ma straordinario. Straordinario nella caparbietà, nella passione, nell'amore per quel lavoro, nel bisogno di denaro, nella sfida contro lo scetticismo per questa pretesa di raccontare il ‘vero’ e di uscire fuori da certi binari.
Nel 1996, Carlo Lizzani (con il quale Pirro aveva già collaborato in passato) trasporta su pellicola la storia. È un tipico esempio di metacinema, in cui sguardo diegetico ed extradiegetico si confondono fino a diventare un'unica cosa. In cui oggi e ieri, colore e bianco e nero, realtà e finzione non trovano distacco, ma diventano un corpo solo fino a mescolarsi in un'unica ragione d'essere. Ma la trasposizione sullo schermo perde la passione e la forza delle personalità tanto marcate nella pagina scritta. Lina Sastri non ha la passionalità e l'irruenza della Magnani, Massimo Ghini non ci restituisce a pieno la genialità e il piglio seduttivo di Rossellini. Giancarlo Giannini offre invece una bellissima interpretazione di Sergio Amidei, che gli è valso il David di Donatello, stesso premio andato anche a sceneggiatura e musica.
Non era facile riproporre l'atmosfera del tempo, gli aneddoti, gli ambienti. Lizzani si sofferma soprattutto sull'amicizia tra Rossellini e Amidei, tralasciando il contesto storico, che tanto peso invece ebbe nelle vicende. Oggi come allora ha forse giocato un po' la precarietà dei mezzi, con la semplice differenza che oggi questi limiti si sarebbero potuti arginare con un investimento di capitale maggiore. Ma si potrebbe sottolineare, con un po' di cinismo, come in realtà sia proprio la materia del film (il cinema del Neorealismo) a ricordare che è possibile creare un capolavoro anche con mezzi limitati.