Il trucco de “La conferenza” è marcato: segna le rughe, ingigantisce gli occhi e sottolinea le mascelle, creando maschere dipinte sui volti dei personaggi, come fossero marionette manovrate da fili invisibili. In una stanzetta angusta si muovono un fantomatico conferenziere, enfatico, pingue e – a quanto dice – affetto da orchite; una garrula puttana bionda che all’occorrenza si fa anche domestica, badante e cagna; un presunto figlio di lei, trentunenne saccente e verboso. Il primo chiede consiglio agli altri in merito al testo da scrivere per la prossima conferenza e scattano così rivalità e gelosie, recriminazioni e scambi di ruoli. Ci si arrovella sull’incipit con cui cominciare il discorso, si litiga sulla distinzione fra significante e significato, si recupera un vocabolario desueto e ci si accapiglia sulla maniera migliore per rivolgersi al pubblico: meglio «dame» o un più banale «signore»? Si può dire «cavalieri»?
Le voci alterate dei protagonisti di “La conferenza” si animano in una discussione accesa, che difficilmente suscita altrettanto interesse nel pubblico: tutto lo spettacolo si sviluppa in chiave dichiaratamente grottesca, ma la pièce è autorefenziale, non coinvolge e non diverte. Si intuisce la sussistenza di talento negli interpreti, ma la regia li costringe ad una recitazione artefatta, volutamente sopra le righe, che appare in definitiva ingiustificata. Uno spettacolo francamente insopportabile, pesante quanto il make up sul viso degli attori.
Titolo | La conferenza |
Autore | Giuseppe Manfridi |
Regia | Claudio Jankowski |
Musiche | Marco Raoul Marini |
Scene | Francesca Garofalo |
Costumi | Francesca Garofalo |
Aiuto regia | Isabella Ripoli |
Interpreti | Alessia Carbonaro, Davide Poggioni, Stefano Roselli |
Durata | 30' |
Organizzazione | Isabella Ripoli |
Genere | grottesco |
Applausi del pubblico | Ripetuti |
Compagnia | Compagnia Teatro Studio Jankowski |
In scena | Roma Fringe Festival -14 giugno h. 22,00 – 17 giugno h. 23,30 – 19 giugno h. 20,30 – Palco C - Parco Adriano, giardini di Castel Sant'Angelo, Roma |
Gentile Anna Barenghi, siamo ben consci che rispondere ad una critica si tratta inevitabilmente di una caduta di stile ma niente riesce a trattenerci dal lasciar passare, senza replica, una tale ed ingiustificata (quantomeno apperentemente) espressione di astio e cattiveria che ci ha lasciato inevitabilmente basiti. Lungi da noi voler a tutti costi leggere parole di forzato elogio per quello che è stato un lavoro svolto con passione e dedizione nel nome di questa magnifica arte, ci piacciono invece i commenti sinceri. Ed è proprio per questo che non possiamo astenerci dal sottolineare la malafede che, secondo noi, ha guidato le sue dita nella redazione di questa “grottesca” recensione. Il fatto che lei non abbia capito o gradito il lavoro sui personaggi che, in quanto attori, ci appartiene e che quindi niente affatto è dettato da una imposizione registica, ammeso che lei abbia mai calcato un palcoscenico e sappia di che dinamiche stiamo parlando, non giustifica minimamente gli aggettivi utilizzati per descrivere la nostra rappresentazione. Parla di coinvolgimento di pubblico, dovrebbe parlare di coinvolgimento personale perché, forse troppo intenta a trovare motivi per sminuirci, non si è resa conto invece del coinvolgimento e delle reazioni del resto della platea che, invece, in tutte e 3 le repliche è stato sorprendete per una rappresentazione all’aperto e di un testo di tale “complessità”.
Prendiamo atto delle sue personalissime opinioni, che sembrano pero piu un dispetto che una imparziale opinone a maggior ragione giunte da una persona che, tra le sue attività, vanta peraltro collaborazioni con il servizio pubblico.
Cordiali saluti
Stefano, Davide e Alessia
Gentilissimi,
vi posso rassicurare sul fatto che la mia recensione non fosse animata da alcuna malafede né da preconcetti: non ci conosciamo e non trarrei alcun interesse dal “farvi un dispetto” (ma perché mai dovrei?). Ho visto e valutato il vostro lavoro con la stessa curiosità ed obiettività con cui vado abitualmente a teatro: per cercare di offrire, come è intento di questa testata, spunti di riflessione per chi assiste ad uno spettacolo, e magari anche per chi lo fa.
Purtroppo la mia sensazione è stata di uno spettacolo sgradevole: non una sgradevolezza provocatoria e motivata, ma fondamentalmente fine a se stessa. È certamente possibile che io non abbia capito; come ho scritto nella scheda, lo spettacolo è stato ripetutamente applaudito. Vi invito però a considerare l’eventualità che, come me, anche molti spettatori non capiscano, e ad utilizzare la mia recensione come stimolo per sviluppare o affinare i successivi allestimenti.
Buon lavoro e alla prossima,
Anna
Sgradevole, Insopportabile, Pingue, bionda puttana (che c’entrerà mai il colore dei capelli?).
Esistono vari modi per esprimere il proprio giudizio, anche se negativo. Le assicuriamo infatti che il problema risiede nei modi e non nel fatto che non abbia gradito il nostro LAVORO.
Siccome asserisce di avere il teatro come passione ci si aspetta quantomeno un minimo di rispetto, e non una sequela di sgradevoli epiteti che non comprendiamo che riflessioni possano suscitare. Ci saremmo potuti rivolgere anche noi nei suoi confronti allo stesso tono, ma non l’abbiamo fatto. Ad ogni modo la ringraziamo per la presenza al nostro spettacolo, suggerendole per le prossime volte di collocarsi in una posizione congrua a valutare le reazioni del pubblico qualora questo sia per lei parte determinante nella valutazione di uno spettacolo e redazione di una recensione.
Alla prossima.
Stefano, Davide e Alessia
È lo spettacolo stesso, nella sua impostazione dichiaratamente grottesca (la stessa scheda del Roma Fringe Festival lo definisce così), ad evidenziare e portare all’eccesso le caratteristiche, anche fisiche, dei personaggi. Sono i personaggi stessi a definirsi, in maniera implicita o esplicita, di volta in volta come “pingue”, “bionda”, “puttana”, “cagna” e così via. È evidente come gli epiteti che utilizzo nella recensione si riferiscano ai personaggi e non agli attori: e pertanto è alquanto bizzarro ritenerli offensivi.
Vorrei ribadire, una volta per tutte, che, a mio parere, il problema di fondo dell’opera non è nell’esasperazione grottesca che caratterizza ogni aspetto della messinscena (dal trucco alle voci), ma nel fatto che tale esasperazione appaia autoreferenziale. Non ho riscontrato, tornando alla scheda di presentazione dello spettacolo, quella “provocazione emblematica in grado di far riflettere sul surrealismo della nostra esistenza” che avrebbe dato un senso profondo allo spettacolo.
A voi la libertà di tener conto di questo mio giudizio o meno,
auguri,
Anna
Mia giovane Anna, le scrivo sollecitato dal disagio dei miei altrettanto giovani e talentuosi allievi, sorpresi dal suo duro e aggressivo commento in contrasto con il successo dello spettacolo decretato dal pubblico e la definizione dello stesso come” bellissimo”, data dall’ autore e amico, che lei conoscerà sicuramente, Giuseppe Manfridi con il quale ho condiviso l’ idea dell’ impostazione dello stesso spettacolo. Si tratta di un suo inedito ispirato al teatro dell’ assurdo così referenziale in una società come la nostra farneticante nell’ eloquio e così deludente nel significato dello stesso. L’ idea poi di iscriverlo al Fringe è venuta dall’ interessante lavoro culturale e sociale che il festival fa di cui condivido gli intenti. Riguardo la grande soggettività di giudizio mi trova d’ accordo, specie parlando del cosiddetto ” teatro dell’ assurdo “. Un teatro che non si vanta di essere immediatamente capito, tutt’ altro, ma di stimolare reazioni in un mondo sonnacchioso e convenzionale, e questo penso in parte ci siamo riusciti come lei mi conferma. Credo di conoscere bene l’ argomento, pensi che ho avuto l’ onore di lavorare assieme a Eugene Ionesco su una sua opera e a discuterne a lungo con S. Mrozek, ho avuto inoltre la fortuna di lavorare o conoscere personalmente e discutere del teatro di ricerca con quasi tutti gli esponenti della scuola romana da Nanni a Vasilicò , da Ricci a Carmelo Bene. Sono stato recensito da amici come Di Giammarco e illustri critici come Emilia Costantini, Francesca Bonanni, Nico Garrone, Ubaldo Soddu, Giorgio Prosperi e tanti altri. Ho come cari amici artisti e critici dell’ arte figurativa di valore internazionale. L’ arte in genere e nello specifico del teatro, che lei affinerà con il tempo, trascende da giudizi immediati , io come regola non me li sono mai permessi mettendomi con ” stupore ” davanti ad ogni manifestazione artistica cercandone la giusta interpretazione.Definirei i suoi commenti forse impulsivi, certamente non sbagliati nella soggettività personale, ma non affretterei la sua lettura di un’ opera d’ arte con termini che secondo me non appartengono alla sua ” sensibilità ” e obiettività di giudizio per l’ importante ruolo del critico che lei ha deciso di scegliere per la sua attività futura. Claudio Jankowski.
Nella prima critica alla critica (sic!) si parlava di inevitabile caduta di stile di un attore che replica ad una recensione. Qui siamo arrivati alla replica di una replica di una replica.
Non ho visto lo spettacolo, quindi mi astengo da qualsiasi giudizio, ma non mi astengo dal porre fine a questo botta e risposta. Per due motivi: il primo è che ormai sono chiare le posizioni in campo e quindi qualunque ulteriore commento diventerebbe stucchevole anche per il lettore più disattento.
Il secondo motivo è l’essenza stessa de ilgrido.org: la polemica è il sale della cultura, il personalismo è la sua pietra tombale.